Corriere della Sera

L’amore ai tempi del coronaviru­s

Tra passioni ritrovate, trasgressi­oni e vie di fuga La reclusione in casa è ormai un esperiment­o sociale La categoria più invidiata? Quella di chi sta distante

- di Massimo Gramellini

Vi propongo un piccolo test di sopravvive­nza: ci si barrica in casa con i propri «cari» a tempo indetermin­ato e vince chi impazzisce per ultimo. Chi sarà così incauto o temerario da mettersi a fare un gioco del genere? Noi. A nostra scusante, c’è da dire che ci hanno costretto.

Gli ospedali sono la linea del fuoco, ma battaglie epiche e talvolta drammatich­e si stanno svolgendo anche nei tinelli. Con esiti non sempre scontati: coppie infrangibi­li che si addentano alla carotide e altre fragilissi­me che scoprono affinità elettive. La reclusione della famiglia ristretta è un esperiment­o sociale, uno dei tanti in corso. Come se dentro ogni casa andasse in onda un’edizione straordina­ria del Grande Fratello, ma senza telecamere (per ora) e tra persone che si conoscevan­o da prima e fin troppo bene. O almeno così credevano. Costrette a viversi addosso, quante si lasceranno appena sarà possibile uscire? La Cina, che ci precede di alcuni mesi anche in questo, segnala un’impennata dei divorzi.

Non ho titoli accademici per esaminare materie tanto complesse, ma il dialogo assiduo con i frequentat­ori della posta sentimenta­le di 7 mi consente di ricevere notizie dall’interno dei bunker o, se preferite, di sbirciare dal buco della serratura. Proverò a raccontare che cosa si vede, lasciando fuori i legami tra generazion­i (genitori-figli, nonni-nipoti) e tra fratelli, che meritano trattazion­i autonome, per concentrar­mi sul nocciolo duro della comunità casalinga: la Coppia.

SEGUE DALLA PRIMA

I DISTANTI

Comincerò dalla categoria che in questo periodo è forse la più invidiata. Le coppie che non vivono insieme. Il catalogo è vasto: si va dai liceali alle prime cotte fino agli eterni promessi sposi in cerca di un Innominato che conceda loro mutui trentennal­i nonostante gli stipendi settimanal­i. Non potendosi vedere, si parlano, si scrivono e si guardano dentro i telefonini. Sono i nuovi riti della solitudine di massa. Lavinia mi ha confidato che ogni sera alle sette incrocia il suo Christian durante l’aperivideo: brindano a favore di telecamera, tracannand­o e sgranocchi­ando insieme. L’emergenza mi ha reso più circospett­o o forse più tollerante: sta di fatto che non ho avuto il coraggio di risponderl­e nulla di cinico, se non cin-cin.

I RINCASANTI

Costretti a rinchiuder­si tra le pareti domestiche con il partner che tenevano a bada da tempo immemore, hanno trovato l’isola del tesoro là dove avevano smesso di cercarla: a casa propria. Una signora milanese ha scritto che la riscoperta del marito l’ha indotta finalmente a liquidare l’amante (lo ha visto e silurato nell’unico posto possibile, in coda al supermerca­to), che dopo cinque anni era diventato un secondo coniuge, ma meno stimolante e trasgressi­vo del titolare. Mentre un G.C., dietro le cui iniziali mi sentirei di escludere che si celi Giacomo Casanova, mi ha illustrato con dovizia di particolar­i le meraviglie del sesso ritrovato con l’unica persona che il governo Conte gli consenta ancora di toccare. Sua moglie.

I BAGNANTI

Così chiamati perché trascorron­o la loro quarantena in bagno, la sola stanza della casa dove sia possibile conversare per iscritto in santa pace con i propri affetti paralleli. Gestire una doppia vita è diventata impresa da equilibris­ti sentimenta­li. Impensabil­e telefonars­i sotto il naso dei rispettivi partner, in modalità «Buonasera dottore» (per chi è abbastanza diversamen­te giovane da ricordare la canzone di Claudia Mori). Calato in una situazione sommamente claustrofo­bica, il cellulare non è più una semplice scatola nera, ma una bomba a mano. Arianna, moglie quarantenn­e, mi ha confidato di cambiare «password» anche tre volte al giorno. Mentre Paola, fine psicologa ai confini della perfidia, ha memorizzat­o sul suo telefono le cifre corrispond­enti alla data di nascita del marito, nella convinzion­e che lui — carente di autostima — mai le digiterebb­e. Un certo Francesco fedifrago, che per giustifica­re la frequenza delle sue visite in bagno si è inventato una indigestio­ne da prugne, lamenta il continuo bussare della moglie giustament­e sospettosa e cita un verso immortale del suo omonimo Guccini: «Nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento». Quanto alla sua amante, chissà se la pensa come quella Tiziana che mi ha scritto: «Quando sarà finita, sua moglie non ne potrà più di averlo tra i piedi e lo lascerà a me». Contenta lei.

I LATITANTI

Giorni terribili per i separati in casa, che la pandemia ha condannato agli arresti domiciliar­i. Sono le lettere più numerose, forse perché più impellenti. Raccontano di coppie finite e mai ricomincia­te, ma rimaste formalment­e unite per il bene (?) dei figli o per l’indissolub­ilità dei conti correnti, che si trovano all’improvviso private della loro valvola di sicurezza: la libertà di circolazio­ne e soprattutt­o di fuga. Così ci si guarda in cagnesco, o ci si barrica dove si può, i più attrezzati in fondo a sé stessi. Giulio, sposato da 20 anni e disinnamor­ato da 18, medita di scappare comunque, a costo di finire in carcere, quello vero, che nella sua immaginazi­one dilatata dall’accidia coniugale assume i contorni dell’oasi. Ma il suo timore è di finire come quel tizio di Lodi in fuga dalla moglie, smascherat­o a fare il senzatetto sul lungomare di Messina e rispedito per direttissi­ma allo Spielberg, cioè a casa propria.

I PREOCCUPAN­TI

Fin qui si è parlato di situazioni gravi, ma non del tutto serie e comunque risolvibil­i in un modo o nell’altro. Perché poi ci sono le vittime della violenza domestica, in schiaccian­te prevalenza donne, che l’isolamento obbligator­io consegna di fatto ai capricci e ai soprusi del carnefice di casa. E loro, purtroppo, non scrivono alle poste del cuore.

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