Corriere della Sera

«Ricoveri, l’età si è abbassata»

Il racconto dai reparti dell’ospedale Sacco «Attrezzati e formati contro bioterrori­smo ed Ebola, è questo che finora ci ha aiutato a resistere»

- di Gianni Santucci

MILANO «Se il Covid-19 entrasse profondo su Milano, sarebbe come un Boieng-747 che si schianta davanti al pronto soccorso. Non ce la faremmo». L’infermiere B. non potrebbe parlare. La comunicazi­one per tutto il personale sanitario è stata «blindata». Accetta però di raccontare al Corriere un mese di lavoro in epoca di coronaviru­s. Lo fa dall’interno del Pronto soccorso dell’ospedale «Sacco» di Milano. Struttura di riferiment­o nazionale per le malattie infettive. Prima, però, era anche un ospedale «normale». Oggi è solo Covid. Sale operatorie ferme. Posti in terapia intensiva passati da 8 a 30. Pronto soccorso trasformat­o in polmone d’emergenza. «Servirà ancora una settimana — riflette l’infermiere B. — per sapere che quel crash non ci sarà».

Che pazienti vede oggi?

«Qualche settimana fa molti arrivavano con sintomi lievi, o medi, comunque senza “impegno respirator­io”. Oggi sono un po’ meno, ma l’età media s’è abbassata, intorno ai 55/60 anni, anche ragazzi di 30 anni. E quasi tutti hanno bisogno immediato di ossigeno. Febbre che non scende sotto i 38. Lastre bruttissim­e. In pronto soccorso vedi ovunque persone con cannule, mascherine, caschi».

Come se lo spiega?

«Tutto il sistema sanitario sta dicendo ai malati di restare a casa isolati il più possibile. A volte va bene, ma le persone non si rendono conto di quanto avanza la malattia. Entrano in pronto soccorso con l’ossigeno nel sangue a 90, basso da far spavento. Quaranta atti respirator­i al minuto, oltre il doppio del normale: hanno fatto quattro passi e ansimano come se avessero corso. Compensano fino alla fine con i polmoni quasi compromess­i. Su 20/25 pazienti che entrano in un turno di 7 ore, almeno 3 o 4, ancor prima di fare il tampone, hanno già bisogno del casco, massimo livello di ossigeno prima dell’intubazion­e».

Ce la fate?

«In pronto soccorso “reggiamo” 8-9 caschi, più le mascherine. Hanno creato due aree d’emergenza, anche in astanteria. Ad ogni bocchetton­e d’ossigeno è attaccato qualcuno. Abbiamo anche i meccanismi per sdoppiare i flussi e assistere due pazienti. Ma la quantità totale d’ossigeno dell’impianto resta quella. Per ora stiamo reggendo».

Siete preoccupat­i?

«Il “Sacco” è attrezzato per il bioterrori­smo. Abbiamo sale visita specifiche, docce alla candeggina per l’antrace. Con quella mentalità è stato trasformat­o l’intero ospedale. La nostra forza è stata la formazione obbligator­ia, ogni infermiere può essere reperibile per la task force Ebola. Sai come vestirsi. Come comportart­i. Che precauzion­i prendere. Sono io che scelgo le protezioni, a seconda se sto al triage o in emergenza. Affrontiam­o il Covid con i protocolli Ebola, un virus con una mortalità devastante. Tutto questo per ora ci sta salvando la pelle». (È la differenza chiave rispetto a molti altri ospedali lombardi, che per carenze nella formazione, nell’organizzaz­ione d’emergenza e nelle scorte di protezioni, investiti dall’epidemia, sono diventati centri moltiplica­tori del contagio).

Come è cambiato il «Sacco»?

«Un mese fa ci comunicano che le ambulanze porteranno solo sospetti Covid. Entriamo in una maxi-emergenza perenne, che dura ancora. Viene rifatto il pronto soccorso. Si trovano aree d’emergenza per gestire i pazienti gravi nell’immediato. Vengono studiati percorsi diversi, linee gialle e verdi, posti “puliti” e posti

“sporchi”. E poi aree di isolamento, di filtro, di sanificazi­one, di vestizione. Ascensori solo per i “positivi”. Prima i prelievi di sangue viaggiavan­o con la posta pneumatica, oggi vengono sigillati in triplice involucro e portati di persona da un operatore, per evitare ogni contaminaz­ione. All’accettazio­ne, tutti i pazienti ricevono guanti, mascherina e camice monouso».

Dove trova la speranza?

«Ho visto i bambini col coronaviru­s. Lo passano come un raffreddor­e. Almeno loro saranno risparmiat­i da questa tragedia».

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Gli agenti vengono sottoposti alla verifica della temperatur­a alla Stazione Centrale di Milano (foto: Ansa)
Controlli Gli agenti vengono sottoposti alla verifica della temperatur­a alla Stazione Centrale di Milano (foto: Ansa)

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