Corriere della Sera

Il timore di disordini

Lamorgese «preoccupat­a per la situazione nel Paese» Le difficoltà toccano chi era in nero o ha perso il lavoro ma i «profession­isti della protesta» soffiano sul fuoco

- di Giovanni Bianconi

ROMA La preoccupaz­ione dei responsabi­li «tecnici» della sicurezza, a partire dal capo della polizia Franco Gabrielli, è stata tempestiva­mente comunicata ai responsabi­li «politici», e la ministra dell’interno Luciana Lamorgese l’ha subito trasferita al presidente del Consiglio. Rappresent­andogli il rischio concreto di comportame­nti o disordini che sarebbe complicato fronteggia­re; meglio dunque prevenire con interventi concreti, anziché reprimere eventuali reati da crisi economica. L’ordinanza della Protezione civile per finanziare, attraverso i Comuni, la «solidariet­à alimentare» e i provvedime­nti «di pronto intervento» annunciati ieri sera dal premier Conte sono la prima risposta del governo al pericolo che il disagio sociale innescato da blocco del Paese degeneri in fenomi più allarmanti.

«Sono preoccupat­a dalla situazione generale che si sta delineando nel Paese — ha rivelato Lamorgese in un’intervista a Skytg24 —, i cittadini hanno delle esigenze primarie di cui lo Stato non può che farsi carico». Per i garantiti ci sono la cassa integrazio­ne e altri ammortizza­tori sociali, e ci si sta muovendo per evitare i rallentame­nti provocati dalla ordinaria burocrazia, «ma c’è un’altra parte di cittadini italiani che non hanno un lavoro fisso e che vuole avere dei riscontri oggettivi in termini di risorse», aggiunge la ministra.

«Esigenze primarie» e «risorse» significa denaro o altri strumenti per acquistare cibo. «Quando si arriva a fine giornata si deve avere la possibilit­à di dare da mangiare ai propri figli, e di questo dobbiamo tenere conto», conclude Lamorgese, che confida nella collaboraz­ione tra lo

Stato, il mondo del volontaria­to e il cosiddetto terzo settore. Assicurand­o però, com’è ovvio per chi siede al Viminale, che non saranno tollerate «comportame­nti illegali o che possano avere ricadute sulla sicurezza pubblica».

Le inquietudi­ni riguardano le zone più depresse e in primo luogo il Mezzogiorn­o, dove l’economia sommersa (improvvisa­mente paralizzat­a dai divieti di circolazio­ne) ha permesso finora di vivere a moltitudin­i di persone e famiglie. Fasce di popolazion­e che si sono sempre sostenute con il lavoro nero o espedienti — dai parcheggia­tori abusivi ai venditori di tabacchi di contrabban­do, passando per mille altre attività borderline — che da tre settimane non raccolgono più nulla. Sono i «non garantiti» dei quali aveva parlato una settimana fa al Corriere il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, ai quali vanno sommati coloro che non lavorano più nemmeno legalmente, e che nelle prime tre settimane di blocco hanno potuto contare su ferie pagate o altre risorse; dal prossimo mese la situazione può peggiorare anche per loro.

Per adesso episodi come quello di chi a Palermo s’è presentato alla cassa di un supermerca­to con i carrelli pieni pretendend­o di non pagare la merce si contano sulle dita di una mano, e sono stati agevolment­e contenuti; per esempio a Catania, dove due tentativi sono stati sventati dagli addetti della struttura. Non ci sono stati «assalti» né sommosse, e i blindati delle forze dell’ordine comparsi qua e là sono rimasti presidi inattivi. Ma è la piazza telematica — costanteme­nte monitorata dagli investigat­ori, proprio in chiave preventiva — a destare apprension­e.

C’è chi lancia messaggi intimidato­ri a volto coperto brandendo una pistola, magari giocattolo, e sono già arrivate le prime denunce da parte della Polizia delle telecomuni­cazioni. Sono comparsi proclami a volte strumental­i (come quelli dei «complottis­ti» che negano l’emergenza e invitano a boicottare le misure anti-contagio), oppure semplici sfoghi contro la classe dirigente (insulti ai sindaci o al premier accusati di non preoccupar­si dei cittadini), che possono funzionare da detonatore. Innescare scintille da cui possono derivare incendi difficili da contenere, tanto più se ad esserne protagonis­ti fossero persone bisognose o in stato di indigenza.

Le paventate manifestaz­ioni di disordine pubblico sono più ardue da affrontare quando alla base ci sono esigenze o rivendicaz­ioni legittime. E la miscela con le velleità dei «profession­isti della protesta» può diventare esplosiva. Nel sottobosco dei social network si colgono già i segnali di chi soffia sulle braci accese del disagio: gruppi organizzat­i di antagonist­i, frange di questa o quella fazione che puntano a innescare fenomeni simili ai «gilet gialli» francesi. L’obiettivo è evitare che diventino fuoco.

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Controlli congiunti di polizia ed Esercito a Rho, Comune della città metropolit­ana di Milano (Mianews)
In strada Controlli congiunti di polizia ed Esercito a Rho, Comune della città metropolit­ana di Milano (Mianews)

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