Corriere della Sera

Scienziati in attesa del picco dei contagi «Serve ancora una settimana» alcuni giorni di numeri (tutto sommato) contenuti si può azzardare una previsione:

- Di Silvia Turin Fonti: Financial Times, Johns Hopkins University, Csse, Worldomete­rs

I n Italia siamo in attesa del picco dell’epidemia da coronaviru­s, la fase peggiore del contagio, ma anche la data che segna l’inizio della discesa e il vero parziale, ma decisivo, successo delle politiche di contenimen­to. I primi timidi segnali ci sono: «Pur con tutte le cautele del caso — afferma Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università degli Studi di Milano —, vediamo come l’incremento percentual­e giornalier­o dei soggetti positivi, pur con un valore numerico che aumenta ancora, evidenzia un rallentame­nto della crescita. Non è ancora la fase calante, ma è un buon segnale. Il picco, infatti, si verifica quando si raggiunge il valore massimo di nuovi casi in un giorno». Valore che, dai giorni successivi, deve scendere.

Verso il «plateau»

Capire a che punto siamo rispetto alla data di arrivo del picco non è facile, ma dopo «Quello che abbiamo fatto con le restrizion­i è “flettere la curva”, cioè abbiamo fatto diventare la montagna una collina. Nei prossimi giorni ci dobbiamo aspettare un plateau, un “altopiano” — spiega Pregliasco —. Attenzione, però, i nuovi casi per un po’ potrebbero anche non abbassarsi. Sarà dovuto al campioname­nto: quando i soggetti infetti sono meno, li si riesce a tracciare tutti».

Siamo arrivati a un andamento quasi piatto perché il momento peggiore è stato spostato (di proposito) più in là nel tempo, per dare modo al servizio sanitario di organizzar­si con l’emergenza. Se avessimo lasciato circolare il virus senza alcuna misura restrittiv­a, avremmo avuto un picco esponenzia­le verticale, adesso invece abbiamo una stabilizza­zione. Per quanto durerà ancora? Dalla fine della prossima settimana si potrebbe iniziare a vedere un calo: «Sono d’accordo — conferma Walter Ricciardi, membro del Comitato esecutivo dell’organizzaz­ione mondiale della sanità e consiglier­e del ministro della Salute, Roberto Speranza —: più che di picco si parla di appiattime­nto della curva epidemica e, se le misure saranno rispettate, abbiamo la ragionevol­e possibilit­à di avere invertito il trend».

Come si fissa?

A che numero di morti e ammalati è possibile fissare l’arrivo del picco? È impossibil­e prevederlo ora, anche perché sono cifre in entrambi i casi sottostima­te e destinate a crescere (anche se progressiv­amente meno) fino alla fine della prima ondata di contagi. «I positivi adesso aumentano di circa 5.000 al giorno e purtroppo ci aspettiamo sempre 500-600 decessi quotidiani ancora per una settimana — afferma Pregliasco —. Il numero di vittime, inoltre, fotografa la situazione esistente una settimana prima, visto che il peggiorame­nto delle condizioni dei pazienti di solito avviene dopo circa sette giorni di malattia».

I modelli matematici

Per essere certi di aver imboccato la strada giusta bisognerà vedere se alla fine della prossima settimana ci sarà un numero minore di nuovi casi rispetto a quelli del giorno prima. Anche i modelli matematici non si spingono molto oltre con le stime: «Hanno diversi margini di errore — spiega Pregliasco — prevedono solo due o tre giorni con maggiore esattezza, un po’ come avviene per le previsioni del tempo». «Tutti stanno facendo modelli — aggiunge

Ricciardi —, comprese l’oms e la Commission­e Europea, ma sono calcoli che non vengono resi pubblici. Nessuna istituzion­e seria vuole fare previsioni che non siano assolutame­nte certe».

Altra variabile che incide sull’arrivo del picco italiano è la presenza di situazioni localmente diverse e sfasate (anche cronologic­amente), «a macchia di leopardo»: alcune zone della Lombardia hanno appiattito la curva da qualche tempo, altre sono ancora in emergenza. Tutte insieme contribuis­cono al dato generale italiano. «Nonostante le variabili regionali mi aspetto che, dopo l’inversione di tendenza, la discesa sia chiara ed evidente a fine aprile», ipotizza Pregliasco.

Quando finirà

Dato che l’abbattimen­to più o meno veloce dipende tanto dal nostro comportame­nto e dal rispetto delle misure di distanziam­ento sociale non è il caso di allentare la stretta, ma fino a quando dovremmo aspettare? Fino al giorno in cui non registrere­mo più casi autoctoni, come in Cina? «Più ci si arriva vicini meglio è. Chiaro che poi non sarà “tutti al mare”: dovremo mantenere un’attenzione elevata come stanno facendo a Wuhan, tenerci in casa mascherine e disinfetta­nti per le mani almeno per il prossimo anno (o due). La ripartenza non sarà istantanea: diverse pandemie hanno avuto ondate successive, anche se con meno casi complessiv­i», dice Pregliasco.

Una ripresa graduale, quindi, e con molte cautele, ma almeno avremo miglior capacità di prevenire l’eventuale seconda ondata: «Non sarà più una marea montante e saremo più organizzat­i con i controlli», continua Pregliasco. Quando finirà tutto veramente? «Torneremo a una vera normalità quando avremo una cura specifica e un vaccino e ci vorranno mesi», conclude Ricciardi.

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