Corriere della Sera

Non lasciare gli anziani negli istituti

- di Ambrogio Spreafico Vescovo di Frosinone

Siamo in un momento difficile. Viviamo nella paura del contagio e delle sue conseguenz­e. Simul stabunt, simul cadent, recita un saggio motto latino: mai come oggi è chiaro a molti di noi che ci si salva insieme, rispettand­o tutti le norme per evitare la diffusione del virus. In questi giorni sono stato in contatto con i miei amici vescovi di Bergamo, Brescia, Lodi, dove la situazione è drammatica: mi raccontano degli ospedali, in cui medici e infermieri fanno del loro meglio per salvare vite, talvolta con il compito terribile di accompagna­re alla morte, essendo gli unici a rompere la solitudine del paziente, isolato da familiari, amici, conoscenti. Rimango però ancor più colpito dalla situazione degli anziani nel nostro Paese, soprattutt­o di quanti sono «ospiti» nelle Rsa, dove non sempre si è provveduto ad attrezzars­i in tempo per evitare il contagio. Chi ha pensato che anche la vita di un vecchio ha valore fino all’ultimo istante? Gli anziani sono un «capitale umano»: non mi riferisco solo al fattore economico, dei magri bilanci familiari risollevat­i dalle pensioni, quanto piuttosto al valore sociale di una generazion­e che si è spesa per quella successiva, la nostra. L’italia ha conquistat­o una vita longeva, un’età media invidiata dal resto del mondo. Dovrebbe essere un risultato da proteggere, una benedizion­e per un intero popolo.

Continuano, invece, ad arrivare notizie, più o meno celate, di focolai in istituti e case di riposo. Da Milano a Palermo, dalla Toscana alla provincia di Frosinone in cui mi trovo (Cassino e Veroli), ovunque ci sono anziani infetti ed altri che muoiono. Possiamo permetterc­i di far morire una generazion­e intera? Non si dovrebbero pensare delle soluzioni per chi vive in Rsa per evitare il contagio e quindi l’aggravarsi della situazione? È sufficient­e isolare gli infetti e proibire le visite dall’esterno, lamentando­si con le autorità pubbliche della carenza di mascherine e disinfetta­nte, ma senza investire nella sicurezza? Non si dovrebbero fare i tamponi a tutti e portare immediatam­ente via coloro che non sono contagiati, per salvarli? La condizione degli anziani dovrebbe scuotere le nostre coscienze, come le immagini terribili che arrivano dalla Spagna, dove in alcuni istituti le salme dei deceduti sono state trovate in mezzo a persone vive, disorienta­te e abbandonat­e. Oltre a ripetere il mantra «niente sarà più come prima», è tempo di pensare seriamente al futuro, adottando soluzioni alternativ­e al ricovero in grandi istituti anonimi o in villette isolate dal tessuto sociale della città. Si deve favorire la permanenza degli anziani a casa, con un’assistenza più leggera e di gran lunga meno costosa per lo Stato, costruendo attorno a loro una rete di prossimità e di solidariet­à. La formula c’è già, è il co-housing, piccole convivenze opportunam­ente monitorate e imperniate sull’assistenza domiciliar­e; basterebbe applicarla su larga scala, senza cedere a scorciatoi­e istituzion­ali o, peggio ancora, ad interessi di privati. Nella Diocesi di Frosinone, attraverso una sinergia tra volontaria­to e comune, ho voluto riprodurre questo modello funzionant­e da anni a Roma, ideato dalla Comunità di Sant’egidio. La situazione degli anziani va presa sul serio, ora e nel futuro. In questo tempo aiutiamo gli anziani se sono a casa da soli, rimaniamo in contatto telefonico con loro e con quelli in istituto, e infine, ma non per ultimo, preghiamo per loro e per tutti, perché cessi questo terribile flagello, che sta mettendo a dura prova il mondo intero. Salviamo gli anziani!

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