VIRUS COME ALIBI PER I LEADER AUTORITARI
Il peggio, in questi tempi di quarantena, è per chi si muove in spazi stretti, dove già si respirava poca libertà: lo stato d’emergenza è da sempre l’alibi perfetto per i delitti del leader autoritario (o del politico che aspira a diventarlo). Non è necessario attraversare i Continenti, l’ha raccontato sul Corriere di mercoledì Paolo Valentino: il premier ungherese Viktor Orbán ha presentato un disegno di legge che di fatto gli consentirà di esautorare il Parlamento, in una condizione d’allerta indeterminata. Non è passato ancora, ma questa settimana i voti dovrebbero essere sufficienti per stravolgere la democrazia a Budapest e permettere al capo di governare per decreto. «Emergenza coronavirus» e da settimane in Egitto non viene fissata un’udienza; pertanto lo studente di Bologna, Patrick Zaki, resta in carcerazione preventiva al Cairo. Allo stesso modo e con la stessa motivazione, in Arabia Saudita è stato posticipato a data da destinarsi il processo che Loujain Alhathloul attende da due anni in prigione, per aver infranto (appena prima che fosse abrogata) la legge che impediva alle donne di guidare: ne ha scritto Viviana Mazza. Il mondo è concentrato sulla pandemia e la polizia algerina arresta l’attivista e presentatore tv Khaled Drareni, che ha raccontato i mesi di «hirak», di protesta, e ora è accusato di «attentato all’integrità del territorio nazionale». Scendere in piazza non si può più, è evidente: che ne sarà delle primavere che stavano appena rifiorendo? C’è il pericolo di contagio, il primo ministro Narendra Modi ha gioco facile a proibire a New Delhi la marcia che da dicembre lo sfida, contestando la discriminazione dei musulmani in India. Di questi tempi, si cita spesso «Cecità» di José Saramago, un contagio bianco che appannava la vista e imbestialiva gli uomini. Ecco: stiamo in allerta, tenendo gli occhi aperti sul morbo ma anche sulla violazione dei diritti fondamentali che rischia ugualmente di aggravarsi.