SAREMO PIÙ UMANI GRAZIE AL DIGITALE
Ognuno di noi ha delle paure, le più diverse. È normale, fisiologico. Ma la paura che accomuna tutti, davvero tutti, è quella dell’ignoto. Il cambiamento repentino, brusco, drastico, quello sì che coglie tutti di sorpresa e innesca meccanismi di reazione, più o meno rapidi.
Le ultime due settimane ci hanno visti tutti alle prese con un cambiamento quanto mai radicale. Abbiamo sovvertito la nostra routine quotidiana, i nostri ritmi giornalieri e quelli del weekend, le nostre relazioni sociali e quelle con i colleghi. I nostri uffici si sono trasferiti nelle nostre case, le relazioni sono diventate per lo più digitali. Abbiamo coattivamente iniziato a praticare il social distancing, forzati in un isolamento che non ci lascerà indifferenti, né inalterati quando tutto rientrerà in una dimensione di ritrovata normalità. Non sappiamo con certezza quando questo avverrà, e nel frattempo continuiamo a vivere le nostre vite su piattaforme diverse, scoprendoci capaci di una digitalizzazione che credevamo più lontana.
Avevamo appena imparato che il mondo dopo il 2008 non poteva più essere come era stato il mondo prima del 2008, e un nuovo choc ci costringe ad abituarci a capire che il mondo che avremo dopo che tutto questo finirà sarà molto diverso da quello che abbiamo vissuto fino a solo qualche giorno fa. Abbiamo temuto gli impatti dell’intelligenza artificiale, salvo scoprire quanto utile sia oggi per tutti noi la connessione digitale. Saremo restituiti alle nostre vite con maggiori consapevolezze sul valore di un abbraccio e sulla bellezza di una stretta di mano. E avremo scoperto che il digitale aumenterà la nostra umanità.
Fino a qualche settimana fa abbiamo riflettuto, ragionato, sulla velocità del cambiamento. E poi all’improvviso ci siamo tutti fermati. A lungo si è discusso sull’opportunità di usare strumenti digitali a scuola, salvo oggi avere la scuola solo su strumenti digitali. Senza preavviso. Le classi si sono distanziate e compattate al di là di uno schermo, i professori si sono dovuti scontrare con la realtà di non vedere con i loro occhi l’avvenire — e gli effetti — diretti del travaso di conoscenze. Il potere del docente è cambiato, perché ora la sua funzione è diventata soprattutto quella di instillare motivazione creativa. Ispirando, non solo insegnando.
E allora tutta assieme questa nuova era potrebbe consentire una potente, inarrestabile accelerazione verso ciò che immaginavamo appannaggio di un futuro discretamente lontano. Niente affatto, perché quel futuro è già qui oggi, e non c’è via di scampo. Non più. Come fosse il tiro di una fionda, ci siamo fermati, carichiamo la consapevolezza e poi scagliamo le nostre vite via, lanciati nel futuro che non dividerà più analogico e digitale, e non avrà più bisogno di miscelare umanesimo e tecnologia, perché avrà fatto nascere dal forte e urgente bisogno di questa esperienza una consapevole fusione in un unico sentire.
Come il torrefattore sceglie con maestria i chicchi di caffè per ottenere la giusta acidità, robustezza e delicatezza per un gusto perfetto, così il nuovo umanesimo è fatto della sapiente miscelazione di umanità e tecnologia. Abbiamo fatto più progressi nella comprensione di quanto può esserci utile il digitale negli ultimi dieci giorni che negli ultimi anni. Ci renderemo presto conto di quanto siamo lontani dal nostro stesso modo di pensare, quello di appena poche settimane fa. Siamo riusciti in ciò che credevamo impossibile: fermarci. Eppure, non ci siamo davvero fermati. Fisicamente, forse, ma in realtà stiamo vivendo la grande opportunità di imparare ciò che forse non avremmo saputo mettere in pratica altrimenti. Abbiamo riscoperto il tempo; l’importanza di un contatto fisico; la generosità, come quella di chi mette in piedi soluzioni jugaad per aiutare persone anziane e vulnerabili a fare la spesa, consegnandola al loro domicilio.
Jugaad significa cogliere l’opportunità nell’avversità, e ingegnarsi per trovare una soluzione al problema. Ci trasforma in imprenditori, e ora tutti siamo diventati imprenditori di noi stessi. Padroni di gestire il nostro tempo in modo (più) efficiente, abbiamo anche riscoperto il valore dell’informalità. Le nostre riunioni di lavoro sono velate da una atmosfera di maggiore informalità, perché ora, pur distanti dai nostri colleghi e manager, condividiamo in realtà molto più delle nostre case e della nostra vita privata di quanto non facessimo prima. Ci siamo uniti, invece di allontanarci.
Il futurista Anton Musgrave si chiede: cosa sarà una vita di successo dopo il coronavirus? Quali saranno le nuove metriche del successo per l’individuo, la società e il mondo intero? L’isolamento in cui ci troviamo ora ci dà il tempo e la libertà di pensare alla risposta. Le nostre priorità sono inevitabilmente un po’ cambiate. Famiglia, benessere, equilibrio tra vita privata e professionale — ora dai contorni leggermente più sfumati — e senso di comunità sono tornati al centro delle nostre vite. Ecco perché la routine non tornerà più quella di prima. La formazione online e lo smart working diventeranno la nuova normalità? Il digitale sarà certamente più parte di noi, ma apprezzeremo ancora di più il contatto umano o la bellezza di una passeggiata in compagnia, che in questi giorni abbiamo imparato a non dare mai per scontati.
Il futuro non arriverà a un dato momento. Lo stiamo creando oggi, ora, tutti insieme. Riscoprendo un senso di comunità, di appartenenza a un gruppo che solo unendo le forze può progredire. Non commettiamo l’errore di accontentarci di vedere questo tempo solo come una tragedia. Siamo grati per chi intorno a noi è in salute, per le persone che garantiscono instancabili cure a chi si ammala e per quelle che ci consentono di poter rimanere a casa con i servizi essenziali e per chi ci sta vicino, anche se a distanza. Non rimpiangiamo il passato e accettiamo il cambiamento. Impariamo la lezione dell’avversità e trasformiamola in opportunità.
Oltre il dramma
Non commettiamo l’errore di accontentarci di vedere questo tempo soltanto come una tragedia