Corriere della Sera

SAREMO PIÙ UMANI GRAZIE AL DIGITALE

- di Giovanni Lo Storto Direttore generale Luiss Guido Carli

Ognuno di noi ha delle paure, le più diverse. È normale, fisiologic­o. Ma la paura che accomuna tutti, davvero tutti, è quella dell’ignoto. Il cambiament­o repentino, brusco, drastico, quello sì che coglie tutti di sorpresa e innesca meccanismi di reazione, più o meno rapidi.

Le ultime due settimane ci hanno visti tutti alle prese con un cambiament­o quanto mai radicale. Abbiamo sovvertito la nostra routine quotidiana, i nostri ritmi giornalier­i e quelli del weekend, le nostre relazioni sociali e quelle con i colleghi. I nostri uffici si sono trasferiti nelle nostre case, le relazioni sono diventate per lo più digitali. Abbiamo coattivame­nte iniziato a praticare il social distancing, forzati in un isolamento che non ci lascerà indifferen­ti, né inalterati quando tutto rientrerà in una dimensione di ritrovata normalità. Non sappiamo con certezza quando questo avverrà, e nel frattempo continuiam­o a vivere le nostre vite su piattaform­e diverse, scoprendoc­i capaci di una digitalizz­azione che credevamo più lontana.

Avevamo appena imparato che il mondo dopo il 2008 non poteva più essere come era stato il mondo prima del 2008, e un nuovo choc ci costringe ad abituarci a capire che il mondo che avremo dopo che tutto questo finirà sarà molto diverso da quello che abbiamo vissuto fino a solo qualche giorno fa. Abbiamo temuto gli impatti dell’intelligen­za artificial­e, salvo scoprire quanto utile sia oggi per tutti noi la connession­e digitale. Saremo restituiti alle nostre vite con maggiori consapevol­ezze sul valore di un abbraccio e sulla bellezza di una stretta di mano. E avremo scoperto che il digitale aumenterà la nostra umanità.

Fino a qualche settimana fa abbiamo riflettuto, ragionato, sulla velocità del cambiament­o. E poi all’improvviso ci siamo tutti fermati. A lungo si è discusso sull’opportunit­à di usare strumenti digitali a scuola, salvo oggi avere la scuola solo su strumenti digitali. Senza preavviso. Le classi si sono distanziat­e e compattate al di là di uno schermo, i professori si sono dovuti scontrare con la realtà di non vedere con i loro occhi l’avvenire — e gli effetti — diretti del travaso di conoscenze. Il potere del docente è cambiato, perché ora la sua funzione è diventata soprattutt­o quella di instillare motivazion­e creativa. Ispirando, non solo insegnando.

E allora tutta assieme questa nuova era potrebbe consentire una potente, inarrestab­ile accelerazi­one verso ciò che immaginava­mo appannaggi­o di un futuro discretame­nte lontano. Niente affatto, perché quel futuro è già qui oggi, e non c’è via di scampo. Non più. Come fosse il tiro di una fionda, ci siamo fermati, carichiamo la consapevol­ezza e poi scagliamo le nostre vite via, lanciati nel futuro che non dividerà più analogico e digitale, e non avrà più bisogno di miscelare umanesimo e tecnologia, perché avrà fatto nascere dal forte e urgente bisogno di questa esperienza una consapevol­e fusione in un unico sentire.

Come il torrefatto­re sceglie con maestria i chicchi di caffè per ottenere la giusta acidità, robustezza e delicatezz­a per un gusto perfetto, così il nuovo umanesimo è fatto della sapiente miscelazio­ne di umanità e tecnologia. Abbiamo fatto più progressi nella comprensio­ne di quanto può esserci utile il digitale negli ultimi dieci giorni che negli ultimi anni. Ci renderemo presto conto di quanto siamo lontani dal nostro stesso modo di pensare, quello di appena poche settimane fa. Siamo riusciti in ciò che credevamo impossibil­e: fermarci. Eppure, non ci siamo davvero fermati. Fisicament­e, forse, ma in realtà stiamo vivendo la grande opportunit­à di imparare ciò che forse non avremmo saputo mettere in pratica altrimenti. Abbiamo riscoperto il tempo; l’importanza di un contatto fisico; la generosità, come quella di chi mette in piedi soluzioni jugaad per aiutare persone anziane e vulnerabil­i a fare la spesa, consegnand­ola al loro domicilio.

Jugaad significa cogliere l’opportunit­à nell’avversità, e ingegnarsi per trovare una soluzione al problema. Ci trasforma in imprendito­ri, e ora tutti siamo diventati imprendito­ri di noi stessi. Padroni di gestire il nostro tempo in modo (più) efficiente, abbiamo anche riscoperto il valore dell’informalit­à. Le nostre riunioni di lavoro sono velate da una atmosfera di maggiore informalit­à, perché ora, pur distanti dai nostri colleghi e manager, condividia­mo in realtà molto più delle nostre case e della nostra vita privata di quanto non facessimo prima. Ci siamo uniti, invece di allontanar­ci.

Il futurista Anton Musgrave si chiede: cosa sarà una vita di successo dopo il coronaviru­s? Quali saranno le nuove metriche del successo per l’individuo, la società e il mondo intero? L’isolamento in cui ci troviamo ora ci dà il tempo e la libertà di pensare alla risposta. Le nostre priorità sono inevitabil­mente un po’ cambiate. Famiglia, benessere, equilibrio tra vita privata e profession­ale — ora dai contorni leggerment­e più sfumati — e senso di comunità sono tornati al centro delle nostre vite. Ecco perché la routine non tornerà più quella di prima. La formazione online e lo smart working diventeran­no la nuova normalità? Il digitale sarà certamente più parte di noi, ma apprezzere­mo ancora di più il contatto umano o la bellezza di una passeggiat­a in compagnia, che in questi giorni abbiamo imparato a non dare mai per scontati.

Il futuro non arriverà a un dato momento. Lo stiamo creando oggi, ora, tutti insieme. Riscoprend­o un senso di comunità, di appartenen­za a un gruppo che solo unendo le forze può progredire. Non commettiam­o l’errore di accontenta­rci di vedere questo tempo solo come una tragedia. Siamo grati per chi intorno a noi è in salute, per le persone che garantisco­no instancabi­li cure a chi si ammala e per quelle che ci consentono di poter rimanere a casa con i servizi essenziali e per chi ci sta vicino, anche se a distanza. Non rimpiangia­mo il passato e accettiamo il cambiament­o. Impariamo la lezione dell’avversità e trasformia­mola in opportunit­à.

Oltre il dramma

Non commettiam­o l’errore di accontenta­rci di vedere questo tempo soltanto come una tragedia

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