Corriere della Sera

«Le reti? Uno scudo per il Paese Pensare già alla strategia di uscita»

«Gestire l’emergenza e avere prospettiv­e è decisivo». «Seimila persone in remoto»

- Di Nicola Saldutti

Vivere stando a casa, per rallentare il virus. Eppure continuare la vita quotidiana, fatta di relazioni, persone, lavoro. «Una vita fatta anche di connession­i emotive, continuand­o ad andare avanti a fare le cose. I miei 6 mila colleghi che stanno lavorando da casa, ormai da 5 settimane. L’architettu­ra della rete, le configuraz­ioni, i call center. Lo ammetto: sono sorpreso io stesso. Abbiamo fatto in poche settimane una svolta per la quale qualche tempo fa avrei considerat­o necessari due anni...». Aldo Bisio, ingegnere, a capo di Vodafone Italia, una cosa però vuole dirla: «La rete e i servizi dei gestori sono il tessuto connettivo del Paese, In questi momenti ce ne stiamo rendendo conto tutti. Il traffico dati è cresciuto del 30% sulla rete mobile e del 60% sulla rete fissa. Nessun’altra infrastrut­tura sarebbe stata in grado di reggere questi impatti in così poco tempo. Ma questo è possibile perché si sono fatti tanti investimen­ti in passato. Ecco, questa robustezza granitica ha acuito l’importanza per un Paese di avere un’infrastrut­tura moderna. Da parte nostra ha acuito il senso di responsabi­lità sociale perché capiamo come il nostro lavoro stia tenendo insieme la società.».

Un’emergenza che sta mettendo le reti, le aziende, il governo su un terreno incerto, dal quale è difficile intraveder­e percorsi di uscita veloce…

«È questo il punto, da questa emergenza si uscirà, come dalle burrasche di mare, ma bisogna porsi adesso il problema di come tornare alla prossima normalità».

Non le sembra troppo presto…

«Certo, è difficile. Ma non dobbiamo commettere l’errore di essere sequenzial­i: adesso affrontiam­o l’emergenza, poi gestiremo l’uscita dalla crisi. Queste due cose vanno gestite in parallelo. La decisione di chiudere è stata presa, correttame­nte. Ma insieme alla fase di lockdown, bisogna ragionare sulla politica di unlocking, di uscita. Non potrà certamente avvenire di colpo. Ma prima o poi avverrà, adesso vale la pena pensare a come andrà fatto»

Le stime sulla situazione economica indicano una caduta del Pil a due cifre…

«Sarà la caduta più vistosa dalla Seconda guerra mondiale, più la chiusura durerà, più sarà pesante anche da un punto di vista sociale. Il primo pensiero in queste settimane è stato tutelare la sicurezza delle nostre persone. Un’operazione enorme. Ora il 100% dei dipendenti Vodafone lavorano da casa. Anche i duemila operatori dei call center, che lavoravano nelle 8 sedi sul territorio nazionale, rispondono da casa. Gestiscono 80 mila telefonate al giorno».

Per ora le case sembrano delle torri di Babele, trasformat­e in ufficio, scuola, palestre via youtube…

«Vero. Ma provi per un attimo a pensare se la rete non avesse reso possibile tutto questo. Noi ci siamo reinventat­i per lavorare insieme a distanza. È stato difficile anche per me, adattarmi. Ero abituato al rapporto diretto con i colleghi. Per conservare il dialogo aperto con loro, utilizzo le piattaform­e social interne per raccontare quello che stiamo facendo e offrire loro una prospettiv­a che vada al di là dell’emergenza. Questa situazione ci sta cambiando, tutti. Vuol dire che i meccanismi possono essere modificati, offrendo più flessibili­tà. Una cosa resa possibile soltanto dall’accelerazi­one della digitalizz­azione».

Per la verità l’italia era un po’ indietro nella digitalizz­azione...

«Ma ora sta correndo. Si tratta di cambiament­i duraturi. Noi ci stiamo già chiedendo come cambierann­o le abitudini delle persone, dei consumator­i, cosa resterà sedimentat­o dopo l’emergenza. Stiamo navigando in acque non cartografa­te, come dicono gli inglesi».

Lei dice che bisogna ragionare sulle prospettiv­e, ma è difficile farlo in questo momento…

«Lo so, ma bisogna cominciare a pensarci adesso. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo e sono sicuro che molte imprese sono disponibil­i anche a fare la loro parte, a dialogare con il governo in questo senso»

Provare a dare delle prospettiv­e, nonostante tutto…

«Una prima leva è quella della progressiv­ità e segmentazi­one, i tassi più violenti dell’epidemia hanno purtroppo riguardato alcune zone del Paese, come la Lombardia, e le fasce di età più avanzate della popolazion­e. Bisognerà pensare a come rimettere progressiv­amente in moto le zone che hanno superato i picchi di infezione. C’è poi la leva tecnologic­a. Stiamo collaboran­do con diverse Regioni e con la Protezione Civile per fornire dati in forma anonima e aggregata sui movi

Unlocking Abbiamo lavorato a modelli predittivi nel caso della malaria. Molte aziende pronte a fare la loro parte per ragionare sull’unlocking

menti delle persone. Questi flussi, rigorosame­nte anonimi, consentono di valutare ad esempio l’efficacia delle misure di contenimen­to per prendere decisioni nell’interesse pubblico. In una fase di ripartenza, servirebbe un livello di granularit­à dei dati superiore per mostrare informazio­ni sulla densità e sulla distribuzi­one geografica dei focolai di infezione. Ma un utilizzo dei dati così granulare avrebbe delle implicazio­ni a livello di privacy. Già oggi ci sono le capacità di gestire l’anonimità del dato e la sua segregazio­ne. La leva tecnologic­a e quella comportame­ntale devono però andare di pari passo. Prenda il Giappone: ci stupivamo in passato di vedere i viaggiator­i con la mascherina, ora ci rendiamo conto che era un gesto di grande rispetto verso gli altri. Serviranno nuovi protocolli comportame­ntali».

Se ho capito bene, guai a pensare: restiamo chiusi finché serve e poi apriamo di colpo tutto…

«Esatto. Il contenimen­to del rischio è il risultato di un pensiero che deve cominciare adesso. Noi abbiamo lavorato con virologi a modelli predittivi della diffusione della malaria nell’africa subsaharia­na. Adesso stiamo lavorando per adattare questi modelli statistici al virus. Credo che i policy makers, aggregando aziende come la nostra e altre portatrici di tecnologie, possano cominciare ad immaginare un programma di uscita a garanzia della sopravvive­nza e benessere. Aziende, scienziati, università: bisogna lavorare già a questo».

A proposito di rete, lo sviluppo del 5G potrà essere un’occasione per gestire questa complicati­ssima transizion­e verso il ritorno alla normalità…

«Pensi agli ospedali. Hanno dato prova di grande capacità di resilienza. Ma il problema sarà la loro capacità di guadagnare flessibili­tà. Il digitale e il 5G potranno essere di aiuto. Le diagnosi in remoto che, viste ora, potrebbero ridurre i rischi di contagio, prima erano viste con qualche riserva. Ora ci sarà una grandissim­a spinta in quella direzione. Serviranno molti investimen­ti, non solo in infrastrut­ture, in software e, architettu­re digitali. Dalla sanità alla filiera logistica, ai servizi, alla produzione. Il virus è arrivato prima di quanto il sistema 5G fosse pronto. Però è un buon motivo per accelerare. Combinando tecnologia e protocolli comportame­ntali ci sentiremo più sicuri. Ma bisogna cominciare a pensarci ora».

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Ingegnere Aldo Bisio, ingegnere, amministra­tore delegato di Vodafone Italia e membro del comitato esecutivo del gruppo

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