Se vanno all’asta i diritti (incerti) dei capolavori del cinema
Nemmeno il coronavirus sembra capace di fermarla: l’asta sarà telematica e quindi può aggirare ogni divieto e precauzione. Il problema è che quello che sarà battuto rischia di rivelarsi una trappola, meno perniciosa dell’infezione ma altrettanto infida.
In vendita ci sono centoventisei film, i cui diritti saranno messi in vendita il prossimo 15 aprile, uno degli attivi rimasti dal fallimento della Globo Multimedia srl. Ma che diritti? E soprattutto che film? È qui che iniziano i problemi e scattano le trappole perché l’asta giudiziaria si limita elencare i titoli, divisi in dodici gruppi e ipotizzando un prezzo medio, l’uno per l’altro, di circa mille e cinquecento euro l’uno.
Non si specifica se i diritti sono per la vendita home-video, per le televisioni pay o free. Ma soprattutto si fornisce un elenco di titoli che avrebbero dovuto mettere qualche dubbio ai periti — se così si possono chiamare — che hanno avallato questa vendita. Intanto perché la società fallita era coinvolta in un gioco di scatole cinesi il cui scopo sembrava quello di evadere l’iva, ma soprattutto perché non portavano alcuna vera pezza d’appoggio della titolarità dei diritti, se non per quelli italiani una dichiarazione di iscrizione al Pubblico registro cinematografico della
Siae. Per i non addetti ai lavori, diciamo subito che questo Registro (istituito nel 1938) non ha mai avuto un valore cocente, tanto che a seguito della nuova legge sul cinema sono state ipotizzate nuove normative (tutte però ancora da discutere).
Ma per i film stranieri non esiste nemmeno quel Registro e così quelli della Globo avevano messo in bilancio la proprietà di capolavori di Hitchcock, di John Ford, di Lubitsch, di Frank Capra, di Welles senza la minima pezza d’appoggio. C’era anche Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin, che anche le pietre sanno essere solo di proprietà della famiglia Chaplin. E lo stesso si può dire per i titoli italiani (ci sono Sciuscià, I grandi magazzini, Il signor Max, un bel po’ di Totò), nonostante l’iscrizione a un registro che dimostra poco o niente.
Intanto sono partite numerose istanze, eredi Chaplin in testa, per bloccare l’asta, ma evidentemente la riforma delle regole sulla proprietà intellettuale non può essere ulteriormente rimandata, perché penalizza anche il giusto sfruttamento dei nostri film all’estero. Con queste non-regole, chi si azzarderà mai a chiedere i diritti dei nostri capolavori?