Le terapie intensive ormai al limite «Presto più dimessi che nuovi arrivi»
ROMA La dura realtà della cronaca ci dice che la situazione nelle terapie intensive di molte regioni rimane ai livelli di guardia, con capienze quasi esaurite, malati trasferiti all’estero o in altre regioni e gravi carenze di apparecchiature e di personale. La fredda matematica dei numeri ci dà invece più di una speranza. La linea dei ricoveri in terapia intensiva continua a salire, ma lentamente comincia ad appiattirsi. Si è passati da un aumento percentuale dei ricoveri nelle terapie intensive del 15,18% il 13 marzo al 10,68% del 19 marzo, fino all’1,92% di ieri. Nei prossimi giorni ci si aspetta che il flusso delle uscite (il ricovero medio in terapia intensiva è di 15-20 giorni) sia superiore a quello delle entrate.
Lombardia in difficoltà
La Lombardia resta in prima linea, con province al collasso, come Bergamo, Brescia, Crema, Lodi. Anche qui, però,
Caschi
i numeri regionali dimostrano l’inversione di tendenza: ieri ci sono stati due ricoveri in più, il giorno precedente 9, il giorno prima ancora 15. La settimana precedente la media era tra i 40 e i 50 al giorno. L’emergenza resta ancora grave. Si è passati dai 724 posti letto iniziali ai 1.650 attuali. Di questi sono occupati 1.330. In teoria, sono liberi oltre 300. Il problema è che sono sparsi in molti ospedali e che la malattia fa sì che nel giro di pochi minuti una persona possa aggravarsi e passare dalla subintensiva all’intensiva. La carenza di posti è storica. Già due anni fa erano state rinviate molte operazioni, anche gravi, per sovraffollamento da semplice influenza.
Antonio Pesenti, coordinatore delle terapie intensive in Lombardia, è ancora preoccupato: «Dobbiamo vincere la battaglia di Milano, perché se dilaga lì è un disastro». Si sta provvedendo ad aumentare le capienze. Oggi apre la seconda terapia intensiva nella tensostruttura dell’università Vita-salute San Raffaele di Milano. E all’inizio della prossima settimana dovrebbero arrivare i primi ricoverati nel nuovo ospedale costruito all’interno della Fiera.
Ma non basta: «Quello che manca di più — dice Pesenti — sono i dispositivi di protezione individuale. Calzari, camici, (CPAP, NIV e Maschere total Face) 2.906 cuffie, mascherine. Roba anche da 30 centesimi. Mentre Borrelli e Arcuri polemizzano, noi stiamo in mezzo, che aspettiamo».
Piemonte in prima linea
«Abbiamo l’acqua alla gola, sono liberi solo una decina di letti nelle terapie», dice l’as«tutti sessore regionale alla Sanità Luigi Icardi. Ben poco, e comunque meno del richiesto, è quello che è arrivato da Roma: «Ci siamo arrangiati con quello che avevamo». Le situazioni più difficili, racconta Icardi, sono nell’alessandrino e a Torino, che ha la metà della popolazione del Piemonte: gli ospedali sul territorio si sono trasformati per il 40 per cento in reparti Covid. I quattro più grandi, oltre alle Molinette, solo al 25 per cento». Frenetici gli spostamenti di pazienti, non solo da un ospedale all’altro: «Abbiamo accolto due pazienti dalla Lombardia, ma poi abbiamo
Le cifre
Il tempio di un ricovero medio è tra in 15 e i 20 giorni: ma percentuali di ingresso in calo