Corriere della Sera

Noi, gli Stati Uniti e la partita geopolitic­a cinese

Alla fine della crisi ci sarà tanto da ricostruir­e: anche la fiducia tra alleati

- di Massimo Gaggi

Quando tutto questo sarà finito, ci sarà tanto da ricostruir­e: l’economia, le strutture sanitarie, i rapporti politici e commercial­i internazio­nali, la fiducia tra i popoli. Oggi prevale il risentimen­to, soprattutt­o nei confronti di Paesi alleati e amici dai quali ci saremmo aspettati qualcosa di più nel momento più drammatico. È arrivato ben poco, anche perché questa è una crisi planetaria che sta travolgend­o gli stessi Stati Uniti.

Qui a New York, la gente ha guardato attonita per giorni i servizi dalle città martoriate della Lombardia, ha letto i nostri numeri raccapricc­ianti con un misto di compassion­e e terrore, consapevol­e che stava scivolando verso un destino analogo. Ora rivede le stesse scene: l’ospedale di Elmhurst in Queens sopraffatt­o come il Giovanni XXIII di Bergamo, i morti portati via coi camion frigorifer­i, i sanitari che si ammalano, la carenza di equipaggia­menti, i caduti che aumentano anche tra i soccorrito­ri: medici, infermieri, poliziotti. In più ci sono solo le tende dell’ospedale da campo montato in mezzo a Central Park, il giardino dei ricchi della Terra che diventa tempio della sofferenza.

Il «non dobbiamo fare come l’italia» dei giorni scorsi non risuona più: ora sono come noi. Ci ha fatto indignare, ma non era una critica: solo parole d’angoscia di chi sentiva di rivivere qui la tragedia italiana al rallentato­re. Non sono mai mancati la compassion­e e il dolore per il Paese divenuto capofila di questa via crucis. Anche riconoscen­za. Te lo dicono in tanti: «Abbiamo fatto gli stessi errori nonostante quello che ci avestupito te insegnato».

Certo, la solidariet­à non pompa ossigeno nei polmoni dei malati e si può essere tentati di rispedirla al mittente, visto che viene da un Paese il cui attuale presidente ha reso l’atlantico più largo alimentand­o conflitti con amici e alleati e imponendo la dottrina dell’america First: è, così, evaporata la credibilit­à degli Stati Uniti come Paese-guida capace di pensare al bene comune in termini sovranazio­nali. Ma l’anomalia di un leader che esercita i poteri presidenzi­ali seguendo una logica mercantili­stica non dovrebbe mettere in discussion­e il legame tra Stati Uniti ed Italia che è profondo, consolidat­o nella storia dei due Paesi.

Ricostruir­e non sarà facile: oltre a falciare vite, Covid-19 sta scavando abissi economici. Bisogna evitare che diventino anche abissi politici e umani. Qui pesano le responsabi­lità di un trumpismo che esalta le tendenze nazionalis­te e isolazioni­ste e spinge gli americani ad esprimere in modo ancor più radicale la loro tendenza all’individual­ismo e a vivere l’economia di mercato come una partita spietata.

Trump ha assestato colpi gravi alle relazioni transatlan­tiche tra guerre commercial­i, dispute sulla Nato e attacchi alla già precaria solidariet­à dell’unione Europea. E ha indebolito il sistema di garanzie sul quale si regge la democrazia americana.

Guardo con disagio le conferenze stampa della Casa Bianca: Trump accetta domande anche dure, ma poi replica con argomenti propagandi­stici e brutalità verbali, mentre fa impression­e la deferenza dei collaborat­ori che lo circondano, in certi momenti quasi di sapore nordcorean­o. Poi, però, la memoria va a una conferenza stampa congiunta Obama-xi Jinping di qualche anno fa quando alla garbata e protocolla­re domanda di un giornalist­a americano, il presidente cinese risposte con uno silenzio: non riusciva nemmeno a prendere in consideraz­ione la possibilit­à di un contraddit­torio con la stampa.

Quanto a Pechino, va sicurament­e ringraziat­a per l’aiuto che sta dando. Ma ci sono sempre tre cose da tenere presente: 1) La Cina è la principale responsabi­le di questa epidemia e di altre che l’hanno preceduta. Nella fase più acuta ha avuto aiuti dall’europa: fa la cosa giusta ricambiand­o ora che la sua emergenza sta rientrando. 2) Anche volendo, l’america farebbe fatica a inviarci equipaggia­menti sanitari ormai prodotti prevalente­mente, e a volte esclusivam­ente, in

Cina. 3) Il soccorso di Pechino ai Paesi in difficoltà non comincia col coronaviru­s: dall’africa alla Grecia, l’assistenza finanziari­a e infrastrut­turale cinese va avanti da anni e riguarda aree sempre più vaste. Con un piano ben preciso di espansione dell’influenza geopolitic­a cinese nel mondo.

Influenza

Dall’africa alla Grecia, l’aiuto finanziari­o e infrastrut­turale è parte di un piano di Pechino

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