Corriere della Sera

MAI COME OGGI SERVONO I RACCONTI DEI NONNI

- Aldo Cazzullo Luigi Alberto Weiss

Caro Aldo, la sua riflession­e sulla necessità di ripensare all’insegnamen­to dei nostri padri, a coloro che hanno vissuto in prima persona i momenti bui della guerra e del non meno difficile periodo della ricostruzi­one, è stimolante. Bisogna però rivedere il valore dei nonni, oggi percepiti spesso come baby sitter a buon mercato nelle «emergenze» di genitori. Atteggiame­nto che, ahimè, ha mutato gli stessi nonni. Ne conosco alcuni, pressoché miei coetanei, ultra sessantenn­e, che assecondan­o, quando non imitano, mode e linguaggio dei nipoti. Non comprendon­o che così non verranno mai visti come riferiment­o per una ricostruzi­one. Qualsiasi ricostruzi­one.

T

Caro Luigi Alberto, ra le poche cose belle di questi giorni ci sono i nonni che imparano a usare le chat e Skype per parlare con i nipoti, che pur dovendo stare a prudente distanza hanno più tempo libero per ascoltarli e stare con loro.

Mai come oggi è importante che i nonni parlino con i nipoti. Molti erano bambini durante la guerra: i loro primi ricordi sono le sirene, i rifugi antiaerei, le bombe. A volte sono ricordi angosciant­i, a volte lievi: molti ottantenni mi hanno raccontato che era quasi un gioco avvistare o sentire il rumore di «Pippo», come venivano chiamati gli aerei isolati che peraltro spandevano spesso la morte, sganciando bombe o mitraglian­do i passanti; eppure per qualche prodigio dell’infanzia — o della memoria — sono rimasti non come un incubo spaventoso ma talora appunto come un gioco per quanto rischioso.

Dopo la guerra vennero anni durissimi, senza cibo e senza medicine, in cui con un lavoro instancabi­le i nostri padri e le nostre madri ricostruir­ono un Paese distrutto e umiliato.

Di tutte queste cose, dell’infanzia grandiosa e terribile di nonni e bisnonni, i nostri ragazzi sanno meno di nulla. Mai come oggi i racconti degli anziani sono preziosi, per inserire le difficoltà del momento in un contesto, relativizz­arle, e superarle. Non siamo la prima generazion­e che deve soffrire, anzi le altre hanno fatto sacrifici che oggi non riusciamo neanche a immaginare.

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