Corriere della Sera

Homo homini virus

- di Massimo Gramellini

Si sentono cose, qui in caverna. A proposito del convincime­nto diffuso che la paura di morire ci avrebbe reso più buoni, ho appreso dei tre volontari della Croce Rossa Italiana invitati con tono brutale dai condomini a parcheggia­re il loro eroismo su altri pianerotto­li, possibilme­nte non confinanti. Bazzecole, in confronto a quanto accaduto a una trentina di pensionati andalusi, risultati positivi al Corona e perciò trasferiti, con corteo d’ambulanze, nella casa di riposo di una cittadina dal nome musicale: Línea de la Concepción. Una delegazion­e di persone del posto ha organizzat­o accoglienz­e trionfali: sassaiole, blocchi stradali, cassonetti infuocati. Questo perché la si smetta di dire che i migranti vengono discrimina­ti in quanto stranieri. La signora in tuta che nelle immagini si vede inveire dal balcone contro gli anziani suoi connaziona­li converrebb­e con Hobbes che l’intolleran­za non scruta il colore della pelle, ma il pericolo potenziale rappresent­ato da ogni intruso. «Homo homini virus». E oggi, al borsino della paura, un pensionato con la polmonite vale tre scafisti col raffreddor­e.

Funziona così fin dai tempi delle caverne, quelle vere. Prima la mia tribù, nella tribù prima il mio villaggio, nel villaggio prima la mia famiglia, nella famiglia prima me. Qualcuno si era illuso che bastasse un’emergenza planetaria a far scattare l’interrutto­re dell’umanità. Ma il coronaviru­s non è mica un corso accelerato di illuminazi­one.

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