Corriere della Sera

La lotta per la vita e il diritto alla cura per anziani e disabili: «Non discrimina­teli»

Anche le Nazioni Unite lanciano l’allarme sulle scelte che tendono a privilegia­re chi ha maggiori speranze di sopravvive­re. Il dilemma dei medici

- di Gian Antonio Stella

«Allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti! Se si possono sopprimere esseri improdutti­vi, allora guai agli invalidi…». Son passati quasi ottant’anni da quel 3 agosto 1941 in cui il vescovo Clemens Von Galen, il Leone di Münster, scagliò la sua formidabil­e invettiva contro la selezione genetica dei disabili avviata da Hitler e spacciata per «concession­e d’una morte pietosa» alle «vite indegne di essere vissute». E nessuno ha mai più osato teorizzare, ovvio, nulla di simile.

C’è un’inquietudi­ne crescente, però, tra gli anziani e i «figli di un dio minore» in tutto il pianeta, davanti alla rassegnazi­one, diciamo così, manifestat­a davanti alla ineluttabi­lità delle scelte «di guerra» imposte dall’onda assassina e dilagante del coronaviru­s. Scelte che la Siaarti, Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazio­ne e terapia intensiva, ha spiegato con parole sofferte ma inequivoca­bili: a fronte di «un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazion­e e la disponibil­ità effettiva di risorse intensive (…) ogni medico può trovarsi a dover prendere in breve tempo decisioni laceranti da un punto di vista etico oltre che clinico: quali pazienti sottoporre a trattament­i intensivi quando le risorse non sono sufficient­i per tutti i pazienti che arrivano, non tutti con le stesse chance di ripresa» e occorre «privilegia­re la “maggior speranza di vita”».

Una tesi patita come sale sulle piaghe dalla Ledha (Lega Diritti Handicappa­ti) e dal Forum del Terzo Settore che parlano di una «strage degli innocenti» e accusano: «Non vi è nulla di naturale in questa scelta crudele di sacrificar­e le persone più fragili, illudendos­i così di salvare quelle più forti. Con le loro vite stiamo sacrifican­do anche la nostra dignità, la dignità di ognuno di noi».

Vale per l’italia, dove resterà nei ricordi di tutti il racconto angosciato dell’anestesist­a Christian Salaroli a Marco Imarisio: «Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficie­nza respirator­ia, verosimilm­ente non procedi. Se ha una insufficie­nza multiorgan­ica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato…». Vale per la Francia dove il «Plan Blanc» dell’ospedale di Perpignan, come ha scritto la rivista on-line Médiapart, ha definito quattro tipi di decessi: le «morti inevitabil­i» dovute alla gravità della malattia al di là di ogni risorsa terapeutic­a, quelle «evitabili» con le cure migliori, quelle «accettabil­i» dei pazienti molto vecchi e polipatolo­gici e quelle «inaccettab­ili» di giovani senza altre patologie: «L’obiettivo prioritari­o è lo 0% di morti inaccettab­ili», quello secondario «limitare le morti evitabili». E quelle «accettabil­i»? Amen, avrebbe risposto 19 giorni fa il premier britannico Boris Johnson, prima di far dietrofron­t davanti all’abisso, quando teorizzò l’«immunità di gregge» invitando gli inglesi a prepararsi a vedere «molti dei loro cari morire prima che sia giunta la loro ora».

Ancora più allarmanti, però, sembrano i percorsi imboccati negli Usa davanti alla paura di un’ondata di piena: «A chi vale la pena di salvare la vita? Nello Stato di Washington le persone disabili temono di esser tagliate fuori», titolava giorni fa il New York Times. «Fra i circa trentasei Stati che hanno reso noti i loro criteri, una decina elenca anche consideraz­ioni di tipo intori tellettivo, e altri parlano di condizioni precise che possono portare alla discrimina­zione nei confronti dei disabili», ha spiegato su Avvenire Elena Molinari. Esempi? «In Tennessee le persone affette da atrofia muscolare spinale verranno escluse dalla terapia intensiva. In Minnesota saranno la cirrosi epatica, le malattie polmonari e gli scompensi cardiaci a togliere ai pazienti affetti da Covid-19 il diritto a un respirator­e. Il Michigan darà la precedenza ai lavoradei servizi essenziali». Per non dire dell’alabama dove, accusa Amy Silverman di Propublica, «il piano afferma che le persone con grave ritardo mentale, demenza avanzata o gravi lesioni cerebrali traumatich­e possono essere candidati improbabil­i per il supporto del ventilator­e».

Quanto basta per fare dire alla relatrice delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili, Catalina Devandas, che «le persone con disabilità devono avere la garanzia che la loro sopravvive­nza sia considerat­a una priorità» e che gli Stati devono varare «protocolli per le emergenze di salute pubblica al fine di garantire che, quando le risorse mediche sono limitate, le persone con disabilità non siano discrimina­te nell’accesso alla salute». «Quello che stiamo vedendo qui», dice Ari Ne’eman, fondatore dell’autistic Self Advocacy Network, «è uno scontro tra la legge sui diritti della disabilità e la spietata logica utilitaris­tica».

Parole dure. Tanto più in un Paese come gli Stati Uniti che ha una lunga e brutta storia di discrimina­zione nei confronti dei disabili mentali. Basti ricordare che, dopo la prima legge eugenetica del 1907 nell’indiana (un quarto di secolo prima di quelle naziste), furono via via ben ventinove gli Stati americani promotori di norme di ingegneria eugenetica volte a selezionar­e una razza migliore. O che perfino

Negli Usa

«Meno ventilator­i per le persone con grave ritardo mentale o demenza avanzata»

Garanzie

L’onu chiede garanzie: la sopravvive­nza delle persone con disabilità sia vista come priorità

la Virginia arrivò a dichiarare incostituz­ionali le proprie leggi sulla sterilizza­zione solo nel 1979 e a riconoscer­e un risarcimen­to alle vittime, dopo due bocciature nel 2013 e 2014, solo nel 2015. Sette decenni dopo il processo di Norimberga ai medici hitleriani. Segno d’una riflession­e monca sugli errori compiuti.

Va da sé che quell’inquietudi­ne tra i disabili e i vecchi («I vecchi sono esseri umani? A giudicare dal modo in cui sono trattati nella nostra società è lecito dubitarne», scrisse Simone de Beauvoir) è cresciuta sempre più, in queste settimane, anche dentro la Chiesa. Lo prova la nota «Pandemia e fraternità universale» della Pontificia Accademia per la Vita presentata l’altro ieri al Papa. Dove si riconosce che sì, «le condizioni di emergenza in cui molti Paesi si stanno trovando possono arrivare a costringer­e i medici a decisioni drammatich­e e laceranti di razionamen­to delle risorse limitate non contempora­neamente disponibil­i per tutti». Ma «a quel punto, dopo aver fatto il possibile sul piano organizzat­ivo per evitare il razionamen­to, andrà sempre tenuto presente che la decisione non può basarsi su una differenza di valore della vita umana e della dignità di ogni persona, che sono sempre uguali e inestimabi­li». Una tesi tutta dentro la battaglia che papa Francesco combatte da anni contro la cultura dello scarto.

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L’azadi, la torre della Libertà a Teheran, illuminata con le bandiere di Paesi colpiti dall’epidemia (Afp)
Solidariet­à L’azadi, la torre della Libertà a Teheran, illuminata con le bandiere di Paesi colpiti dall’epidemia (Afp)

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