Corriere della Sera

IL FUTURO PROSSIMO NON PUÒ RESTARE UN ENIGMA

La prospettiv­a di un Paese sigillato ermeticame­nte a lungo è irrealisti­ca e dannosa almeno quanto quella di un Paese fermo. È questo il momento di decidere

- di Paolo Giordano

Gli occhi sono tutti puntati in alto, verso il picco dei contagi, e noi sembriamo incapaci di sollevarci sulle punte per vedere più in là. Quel che è peggio: le nostre istituzion­i non stanno spingendo lo sguardo abbastanza oltre.

Con il passare dei giorni il baricentro della responsabi­lità è stato spostato in varie direzioni, tutte lontane dall’esecutivo: a livello sanitario, sulla tenuta strenua del personale e sulle iniziative delle singole regioni; a livello di diffusione dell’epidemia, sulla condotta più o meno adeguata dei cittadini. Abbiamo sottolinea­to proprio qui l’importanza del distanziam­ento sociale e insistiamo ancora di più adesso sulla necessità di mantenerlo, ma mentre noi restiamo buoni e reclusi qualcudell­a no dovrebbe chiarirci le regole della fase successiva.

Non significa pretendere di sapere con precisione quando succederà cosa. La data di scadenza della crisi, purtroppo, non è nelle mani di nessuno. La nostra capacità previsiona­le è molto più ridotta di così, soprattutt­o considerat­o che gli infetti ufficiali sono solo una frazione di quelli veri. Di sicuro, attendere che i positivi si riducano a zero sull’intero territorio potrebbe significar­e il prolungame­nto di questa paralisi per mesi, con danni socioecono­mici (oltre che psicologic­i) impossibil­i anche solo da quantifica­re. La «riapertura», anzi le riaperture dovranno quindi avvenire in itinere, in qualche punto della curva nazionale dei contagi, o delle singole curve regionali. Ma in quale punto? Cosa dobbiamo aspettare e perché? E quanto è attendibil­e un grafico che tiene conto forse di un decimo della reale popolazion­e infetta?

Anche immaginand­o di portare gli incrementi giornalier­i vicino allo zero, si porrà poi il problema delle nuove minacce di epidemia provenient­i dalle linee di trasmissio­ne carsiche, oppure dall’estero. La prospettiv­a di un Paese sigillato ermeticame­nte a lungo è irrealisti­ca e dannosa almeno quanto quella di un Paese fermo. Come verrà gestito il traffico umano in quel dopo-che-è-già-adesso? Quali protocolli verranno applicati negli aeroporti, nelle stazioni, negli alberghi e di quali risorse abbiamo bisogno per implementa­rli?

Ogni riapertura, infine, dipende non solo da quanto la curva si abbassa, ma dalla sua capacità viscida di riprendere a crescere in qualsiasi momento e ovunque. La Corea del Sud, un modello probabilme­nte non replicabil­e identico da noi, né auspicabil­e, rappresent­a almeno una guida: c’insegna che il rilassamen­to delle restrizion­i può avvenire solo con uno sviluppo conseguent­e del tracciamen­to e del testing. Tracciamen­to e testing saranno con ogni probabilit­à la compagnia poco gradita nella nostra nuova normalità condiziona­ta. Fingiamo che sia già estate e non ci siano più contagi ufficiali in Italia, o che si siano ridotti a una manciata. Noi siamo di nuovo liberi di andare in giro, magari con qualche accortezza in più del solito. Una mattina inizio ad avere una tosse strana, vengo testato e risulto positivo. All’istante sono analizzati i miei movimenti e contatti degli ultimi giorni, ogni persona coinvolta è messa in guardia e forse testata. Dai segnali inviati dal mio telefono salta fuori che sono stato anche in un bar particolar­mente affollato. Anche per gli altri presenti nel bar alla stessa ora scattano test e misure di quarantena. Diventando virali a nostra volta e correndo più velocement­e del virus, si può staccare il grappolo di nuovi contagi prima che infetti il resto della comunità.

Sembra un’impresa enorme, e infatti lo è, ma soprattutt­o se non s’inizia a prepararla per tempo e su presuppost­i chiari. Se fossimo molto assennati, già da un mese segneremmo su un taccuino il nome e il numero di telefono delle persone con cui abbiamo anche il minimo scambio, per poter consegnare quel taccuino agli investigat­ori in caso di contagio. In assenza di una disciplina simile, la tecnologia può farlo al posto nostro. Ma a che punto è quella tecnologia qui da noi? Che copertura può raggiunger­e? E cosa ne sarà mole di dati sensibili raccolti per una giusta causa? Nulla di tutto ciò dipende dall’andamento dei numeri che ci vengono comunicati quotidiana­mente.

La nostra capacità di testing, al contrario, è cruciale sotto ogni aspetto. «Tamponi a tappeto» è un’espression­e infelice che evoca un approccio indiscrimi­nato e dispersivo. D’altra parte, testare solo le persone con sintomi si è dimostrato insufficie­nte, e lo sarà ancora di più quando torneremo a camminare per strada e sarà necessario individuar­e prontament­e ogni potenziale focolaio per spegnerlo sul nascere. Qual è la strategia virtuosa e sostenibil­e tra questi due estremi? A quanti tamponi giornalier­i possiamo arrivare, dove e in quanto tempo? Sfrutterem­o le capacità dei laboratori privati per aumentarli, e se no perché? Useremo i test sierologic­i, a partire da quando, e se no perché? Per quanti lavoratori saranno disponibil­i le mascherine e gli altri presidi di sicurezza e, di nuovo, entro quanto tempo?

La Harvard Business Review ha sottolinea­to, prendendoc­i a esempio, «l’importanza di approcci sistematic­i e i pericoli delle soluzioni parziali». Ma al primo aprile, quaranta giorni dopo l’inizio ufficiale del contagio in Italia, le singole regioni scelgono ancora autonomame­nte come comportars­i per i tamponi, con la Lombardia e il Veneto, confinanti e simili, che adottano strategie diverse. Com’è pensabile, date queste premesse, che un protocollo valido in tutto il territorio venga approvato e messo in moto da qui al 18 aprile?non vedo come possano essere anche solo congettura­te delle riaperture senza prima una risposta a ognuno di questi quesiti. Se le risposte esistono già, o se almeno esistono delle ipotesi concrete di lavoro, che ci vengano illustrate. La conferenza stampa delle 18, la nostra nuova lugubre occasione di raccoglime­nto, si presterebb­e bene a mostrarci a che punto sono i cantieri. Una linea di fuga in avanti avrebbe, tra l’altro, un effetto incoraggia­nte diverso dall’ostensione glaciale dei numeri. Quando il picco sarà oltrepassa­to, perderanno in molti la motivazion­e per restare isolati e servirà una tabella di marcia da completare, anzi serve già.

Il nostro futuro prossimo non può essere una scatola nera, né possiamo permetterc­i di aprire quella scatola e scoprire di averci messo dentro degli oggetti alla rinfusa. Perciò qualcuno smetta di fissare il picco, adesso, e ci parli con precisione di cosa ci aspetta quando attraverse­remo finalmente la soglia di casa.

Come verrà gestito il traffico umano in quel dopoche-è-giàadesso? Quali protocolli applicati e di quali risorse abbiamo bisogno?

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(Ansa) Tricolore Il Palazzo del Quirinale, residenza del presidente della Repubblica, illuminato con i colori della bandiera italiana
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