Corriere della Sera

LA STORIA NON TORNA MAI MA QUI SIAMO A CAPORETTO

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Caro Aldo, voi citate gli eroi e il Piave, pensate che finita questa sciagura si riprenderà a credere nel futuro, tutti uniti, come nel dopoguerra. Ovvio che cambierann­o molte cose, ma prima ci sarà una lunga resa dei conti, ma proprio come nel dopoguerra ci saranno odi, tensioni, polemiche e gente da cacciare ( tanta). Persino Churchill venne mandato a casa nel 1945 dopo aver salvato il Regno Unito. Figuriamoc­i questi. Berto Mazzini

Si dice che siamo come in tempo di guerra, che il nemico è invisibile. Io sono in quarantena e provo ad immedesima­rmi nell’italia del dopoguerra, quella in cui era vissuta mia madre. Non è la stessa cosa, noi abbiamo tutto, e lo sforzo per risollevar­ci non sarà lo stesso di quegli uomini e di quelle donne che ci generarono. Anna Maria Salamina

Cari lettori,

La storia non si ripete mai. I riferiment­i storici in questi giorni ormai si sprecano, e inevitabil­mente sono tutti un po’ fuorvianti. Ma se proprio dobbiamo scomodarne uno, qui siamo a Caporetto. Siamo il Paese con più morti al mondo, e dopo due settimane e mezza di clausura continuiam­o a perdere poco meno di mille vite al giorno. È evidente che non è colpa di una persona, ma di un sistema. La politica ha passato gennaio e febbraio a litigare sulla prescrizio­ne, anziché preparare strutture e protocolli per l’emergenza. Quando il virus è arrivato, quasi tutti gli ospedali lombardi — tranne il Sacco a Milano — e non solo quelli sono diventati focolai. Ci sono state intuizioni geniali di singoli, come l’anestesist­a Annalisa Malara, che a Codogno ha avuto l’idea di verificare se l’atleta trentotten­ne che non guariva dalla polmonite avesse il coronaviru­s. C’è stato il sacrificio di medici, infermieri, militari, forze dell’ordine. Ma non siamo stati capaci di proteggerl­i con materiale sanitario adeguato. Ci sono stati slanci individual­i, ma un’organizzaz­ione complessiv­a disastrosa. Tacciamo per carità di patria sulla fase «Milano non si ferma». Ora si parla di nuovo di riaprire il Paese. Legittimo. Ma prima bisognereb­be fare uno screening di massa. Legare il tampone al ricovero è un errore clamoroso. Nessuno va volentieri in ospedale; a maggior ragione in questi giorni. In ospedale si va quando è tardi; a volte, troppo tardi. Da giorni i virologi sostengono che bisogna fare tamponi a domicilio ai sintomatic­i e ai loro familiari, per evitare che il nuovo focolaio diventi la famiglia; ma non si è ancora passati dalle parole ai fatti. I tedeschi sbagliano a non aiutarci, ma in casa loro preparano test a tappeto. Invece di insultarli, imitiamoli.

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