«Burocrazia zero, salvare i cantieri Subito le risorse ai Comuni»
L’imprenditore delle costruzioni: «Le aziende stanno fallendo, muoversi subito»
«Cosa potrebbe fare il governo per far ripartire subito il Paese? Attivare quelle stazioni appaltanti che sono gli 8mila Comuni italiani, conferire ai sindaci un mandato a spendere subito tutte le risorse economiche disponibili per riaprire i cantieri. La situazione è disperata e non c’è più tempo da buttare con i burocrati». Gabriele Buia, imprenditore delle costruzioni, esponente di quarta generazione di una famiglia di Parma, è il presidente dell’associazione di categoria, l’ance. Un mondo fatto di grandi, medie, piccole e piccolissime imprese che paga una crisi lunga più di 10 anni con la perdita di un milione di lavoratori con l’indotto, 130mila aziende e le storie drammatiche di chi è arrivato a togliersi la vita. Tema sul quale Buia è intervenuto all’assemblea annuale, prima di scrivere una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nel frattempo, sul settore che rappresenta quasi un quarto del Pil italiano (il 22%) è arrivato lo tsunami Coronavirus ad azzerarne fatturato e salari. Mentre da più parti si guarda a un grande piano di opere pubbliche per sventare il rischio depressione. «Questo non è il 2008, è un ’29. Se i cantieri non ripartono, molti di essi non riapriranno più. E sarà la fine di quasi tutto».
Presidente, proviamo a mettere in ordine priorità e percorsi possibili.
«La prima cosa da fare adesso è mettere in sicurezza famiglie e imprese attraverso le banche, che hanno come non mai un ruolo strategico. I soldi vanno versati sui conti correnti. Non è comprensibile che in Svizzera e Germania si acceda agli aiuti in un’ora e in Italia si debba far richiesta con un pin o altre amenità e nemmeno si sa quando i soldi saranno erogati. Contemporaneamente bisogna pensare ad andare avanti e a non fermare del tutto l’economia».
Lei è tra quelli che pensano che il paese debba essere riaperto ad emergenza sanitaria ancora in corso?
«Con le dovute precauzioni. La miseria il Paese non se la merita e sarebbe una follia, potendo disporre, come disponiamo, di grandissime eccellenze e competenze a tutti i livelli. Il mio è solo il parere di un costruttore, ma cominciano a esserci più voci autorevoli in questo senso».
E come ci si dovrebbe organizzare?
«La gestione dovrebbe essere affidata a due squadre, una dedicata all’oggi. L’altra impegnata a organizzare il dopo, l’uscita dalla crisi».
Così non si fermerà la catena dei pagamenti?
«È il grande tema, la filiera che porta fino agli stipendi. Stiamo spendendo in sussidi 25-26 miliardi al mese. Gli aiuti sono necessari, ma poi dobbiamo concentrarci sul lavoro e tornare a parlare con forza degli stipendi».
Interessante sentire gli imprenditori parlare di stipendi. Alcune aziende stanno incentivando i lavoratori con aumenti in busta paga.
«Noi siamo stati costretti a chiudere gran parte dei cantieri e a chiedere sacrifici ai nostri dipendenti solo perché non avevamo i dispositivi di protezione individuale. Penso che in questo momento così grave la battaglia di lavoratori e imprenditori, specie se piccoli, sia comune».
Quali cantieri riaprire per i primi?
«Strade, scuole, ospedali: il Paese, come sappiamo, ha bisogno di manutenzione da Nord a Sud e in tante situazioni anche della messa a norma degli edifici. C’è bisogno di grandi opere, ma anche di tanti interventi».
La rete dei Comuni come dovrebbe essere attrezzata?
«Il governo dovrebbe porre regole certe e semplici: risorse subito a chi fa partire i progetti entro due mesi, pena la restituzione dei fondi».
Ma come velocizzare un settore così burocratizzato?
«Il tema è proprio questo. Siamo sfiniti dalla burocrazia: è tutto un “sentito il Mef che verifica con il Mise, ricevuto il parere del Mit” e via dicendo. Senza contare gli innumerevoli pareri necessari per l’approvazione di un progetto infrastrutturale. Ma dove vive chi scrive le norme? Lo dice anche Sabino Cassese che la prima zavorra dello Stato è proprio la selva di norme e poteri decisionali che frena l’economia: se solo il governo avesse il coraggio di ascoltarlo...».
Cosa chiedete nel merito?
«Per attivare subito i Comuni basta un decreto: dobbiamo vincere una guerra. Sul fronte delle leggi, bisogna pensare di alleggerire o rimodulare il danno erariale e l’abuso d’ufficio».
Non è pericoloso allentare sul Codice penale ?
«Questi due articoli pendono come una spada di Damocle sui funzionari pubblici. Che alla fine, anche per paura di incorrere nelle sanzioni, fuggono la firma e preferiscono il non fare. In questa fase di emergenza torniamo al lavoro, in sicurezza sanitaria e con intelligenza. I controlli vanno fatti a posteriori. E chi ha sbagliato paghi, allora sì le pene devono essere severe. Ma no alla presunzione di colpevolezza».
Resta un settore a rischio infiltrazioni?
«Non è con gli orpelli burocratici che si evitano le infiltrazioni, anzi».
In tema di risorse cosa, o meglio quanto, servirebbe?
«Se si vuole dare la scossa bisogna prima di tutto spezzare l’inerzia della macchina pubblica nell’utilizzo delle risorse disponibili».
Disponibili?
«Sì, ci sono diversi miliardi in pancia alle stazioni appaltanti comprese Anas e Rfi. La prima, per esempio, lo scorso anno ha utilizzato solo 1,1 miliardi dei 3 a disposizione».
Non pensa che la lunga crisi del settore sconti anche una lentezza a innovare e a diventare sostenibile?
«Ecco un altro problema da affrontare: i costruttori sono visti come i cattivi cementificatori? Noi da tempo siamo consapevoli che è necessario promuovere una piena sostenibilità ambientale in un percorso che riguardi anche tutta la manifattura. Tutte le nostre proposte vanno in questo senso: senza l’edilizia il Green new deal rischia di rimanere una chimera».
A quante persone dà lavoro il settore?
«Circa 2 milioni, considerando l’indotto. Eravamo un popolo di 3 milioni nel 2008. La nostra filiera attiva l’86% dei settori industriali italiani. Ecco perché senza di noi la crescita non riparte e sarebbe corretto considerarci un settore strategico».
Un’ultima richiesta?
«Il “Corriere” ha oggi la grande responsabilità di mettere l’opinione pubblica in grado di capire le dinamiche economiche ma anche aiutare legislatore a centrare il punto. Ecco, noi abbiamo bisogno di attenzione e di norme dedicate. Per il bene di tutti».
Due squadre
Nel governo ci dovrebbero essere due squadre, una che lavora alle urgenze dell’oggi, l’altra dedicata a ripensare il domani e l’uscita dalla crisi