Mussolini prima del Duce I dubbi del futuro dittatore
L’immagine che si ha in genere di Benito Mussolini è, inevitabilmente, legata alla sua esperienza come Duce del fascismo, sia per chi privilegia gli anni della conquista del potere o quelli dell’instaurazione del regime, gli anni del consenso o quelli della guerra e della Repubblica sociale. Emilio Gentile, che del fascismo è lo storico più acuto e attento, ci fornisce adesso nel libro Quando Mussolini non era il Duce (Garzanti) l’immagine — densa di contraddizioni e ambiguità — della prima fase dell’avventura del futuro dittatore, dal 1902 (ma soprattutto dal 1912) al 1919, terminando, nell’anno che vede la nascita dei Fasci di Combattimento, con la sconfitta elettorale di metà novembre, in seguito alla quale, in base a una confidenza fatta a Margherita Sarfatti, «forse pensò seriamente di chiudere con la politica».
Con la leggerezza della cronaca, ma anche la puntualità e ponderatezza dello storico, nelle pagine di Gentile ci scorrono dinnanzi le immagini del giovane Mussolini agitatore socialista in Romagna, da subito legato alla corrente radicale e rivoluzionaria, di cui diventerà uno dei dirigenti al Congresso di Reggio Emilia del 1912 quando, con un discorso contro il riformismo che affascina i delegati, verrà cooptato nella direzione nazionale e chiamato a dirigere l’«avanti!», che raddoppierà le vendite nell’arco dei due anni successivi, mentre anche gli iscritti e le sezioni del Psi si moltiplicano.
Mussolini viene riconfermato nel congresso di Ancona del 1914 e considerato ormai un volto imprescindibile della propaganda e della presenza socialista. Lo scoppio della guerra lo colloca subito tra i neutralisti e pacifisti, tra chi vagheggia e prefigura una rivoluzione italiana, tra chi difende un internazionalismo intransigente anche a costo di apparire antipatriottico.
Eppure proprio la sconfitta della Internazionale socialista, con la scelta «nazionale» compiuta da tutti i partiti dei Paesi coinvolti nel conflitto, determina quei dubbi e quelle nuove riflessioni che porteranno Mussolini — con una serie di quattro «virate» che Gentile ripercorre con efficacia — dalla neutralità assoluta a quella condizionata e infine all’interventismo e alla rottura drammatica con il partito.
L’esperienza della guerra è fondamentale per porre le basi della visione politica di Mussolini, a metà tra politica, propaganda giornalistica, analisi teorica, sulla base degli eventi e dei mutamenti del dopoguerra, una visione ancora confusa e contraddittoria, che lo porterà a individuare nel socialismo — ormai considerato morto — il nemico principale, e nel mondo dei combattenti la base sociale e politica da cui far partire il «rinnovamento» dell’italia.
In quella guerra civile strisciante tra chi ha combattuto contro la guerra e chi ha combattuto in guerra (i due campi dei socialisti e degli interventisti), Mussolini non riesce a coagulare l’unità di questi ultimi e si risolve all’azione solitaria della fondazione dei Fasci nel marzo 1919 e poi della partecipazione alle elezioni di novembre dello stesso anno.
Gentile, che ha seguito questi anni tumultuosi soprattutto attraverso le parole e i pensieri dello stesso Mussolini, che ci rimandano ai suoi dubbi e tentennamenti, ma anche alle sue convinzioni più profonde e ai mutamenti che subiscono, individua al tempo stesso l’ampiezza del campo «disponibile» a essere coinvolto nella visione mussoliniana e la limitatezza del consenso che ottiene nel 1919, l’anno che vede di fatto la sconfitta della rivoluzione e, apparentemente, dello stesso futuro Duce.
Con questo libro persuasivo e godibile Gentile ci offre un tassello poco noto ma fondamentale per comprendere l’uomo che avrebbe inventato il fascismo e dominato per vent’anni la politica italiana.
L’ascesa
Divenne un leader di primo piano del Psi contrapponendosi alla corrente riformista
La delusione
Meditò di farsi da parte dopo la pesante sconfitta dei Fasci all’esordio elettorale