CARTOLINE DA UN’AMERICA LONTANA
Èprobabile avesse ragione Oscar Wilde, quando sosteneva che l’america forse non era mai stata scoperta, ma solo intravista. La vastità degli spazi, due oceani, cinque fusi orari e cinquanta Stati hanno creato una nazione che solo la lontananza e una pressante azione sviluppatasi attraverso l’industria di Hollywood, con l’ausilio di ripetute serie televisive, hanno potuto assimilare, rendere un tutt’uno, annullando le profonde differenze.
Il viaggio di Francesco Costa (Questa è l’america, Mondadori, pagine 216, 18), rimette ordine nei cassetti della percezione e restituisce un’immagine molto più vicina alla realtà. Lo fa sfruttando tre elementi: una non comune conoscenza del territorio, che gli ha permesso di dare vita anche a un podcast di successo; grande facilità narrativa e l’uso sensato e non invasivo dei numeri che supportano le tesi e aiutano a capire, anziché confondere. Le cartoline che Costa spedisce dall’america non partono da luoghi comuni. Piuttosto prendono strade secondarie per arrivare a spiegare alcuni dei grandi problemi sociali che la confederazione sta affrontando in questi anni: dal diffondersi del consumo indiscriminato degli oppiacei alla crisi del lavoro, dagli 11 milioni di immigrati irregolari di cui non si può fare a meno, alla crescente intolleranza rispetto al governo centrale di Washington, passando per l’uso delle armi.
Il lavoro, come altrove, è un tema sociale centrale negli Stati Uniti. Costa analizza la de-industrializzazione di vaste aree del Paese e ne racconta le conseguenze, gli effetti dell’accordo Nafta, che lega gli Stati Uniti a Canada
Il volume e Messico e ha indotto Mondadori alla delocalizzazione produttiva, le ricadute sulla salute di una generazione che con il lavoro in fabbrica e la manifattura ha contribuito, nel dopoguerra, a dare concretezza al sogno americano. Il Midwest rappresenta il territorio ideale di questo racconto del lavoro e Costa riprende alcuni dei temi che J. D. Vance ha proposto in Elegia americana, supportandoli con dati, analisi, narrazioni che evidenziano le ragioni della crisi della middle class bianca. Quella dei telefilm e di lunghi filoni di Hollywood. L’immigrazione, al tempo dell’amministrazione Trump, non poteva essere elemento secondario e Costa evidenzia una lunga serie di contraddizioni. Non c’è solo il muro annunciato o le retate che hanno diviso famiglie: l’america di quel lavoro a basso valore aggiunto ha grande necessità ed è efficace evidenziare come l’azione coercitiva del governo centrale abbia generato localmente antidoti efficaci, come sono le sanctuary city, di cui in pochi sanno. Un esempio di autonomia locale impensabile da noi, un ombrello a protezione degli immigrati colpevoli solo di essere entrati nel Paese in maniera irregolare. Una sanatoria di fatto, più efficace di una legge, anche se con limiti evidenti. L’opposizione al governo centrale si manifesta, negli Stati Uniti, in modi diversi. Alcuni hanno fini alti, come nel caso della tutela dei destini degli immigrati, altri sono comprensibili con difficoltà, da noi europei. È il caso del ranch di Cliven Bundy, nel Nevada, diventato grazie a Youtube un caso nazionale: rappresenta il singolo che da solo si oppone a un potere lontano e sconosciuto, lo spirito della frontiera, che ancora permea buona parte dell’america e che potete ritrovare in Yellowstone, serie tv con Kevin Costner. Un’america lontana, non riducibile a stereotipi, ma viva e attualissima. Soprattutto al tempo di Trump, che meglio di altri ha saputo interpretarla.