Corriere della Sera

«Criminali in cerca di felicità Più brividi nella Casa di carta»

L’attrice Ursula Corberó: siamo il volto della malvagità che c’è in tutti

- R. Fra.

Le maschere di Salvador Dalí per confondere la polizia e come simbolo di resistenza, i nomi delle città per mantenere segreta l’identità, Bella ciao come canto di lotta, il Professore con un’aura da guru: a dispetto del nome La casa di carta ha fondamenta solide e ha saputo costruire su diversi elementi iconici un successo che è entrato nell’immaginari­o collettivo. La quarta stagione (da venerdì su Netflix) riparte dalla rapina alla Banca di Spagna, tutti dentro salvo il Professore e Marsiglia mentre Lisbona è stata catturata. Anche in questa stagione c’è un pezzo di Italia: Palermo (omaggio alla città) è sempre più psicopatic­o mentre nella colonna sonora compaiono le canzoni di Umberto Tozzi (Ti amo che ha avuto anche una versione in spagnolo e quindi stupisce meno) e di Battiato (Centro di gravità permanente è una vera sorpresa).

Ursula Corberó interpreta Tokyo ed è la voce narrante di una serie dove le donne non fanno da contorno, ma hanno personalit­à forti, carattere e cuore: «In questa quarta stagione i personaggi sono sempre in una situazione limite — spiega l’attrice —: mi azzarderei a dire che Gandìa (uno degli uomini della sicurezza, ndr) ha portato una cifra di terrore nella serie, credo sia un codice emotivo che prima non c’era. In questa situazione limite lui tira fuori quanto di più sporco e malvagio c’è nelle nostre anime». Aumentano le tensioni, la banda sembra meno unita. Cosa è successo? «Io la chiamo lotta per la sopravvive­nza. Credo che tutti i personaggi della banda abbiano una personalit­à molto forte e capita spesso che non vadano d’accordo tra di loro. Questo comporta la formazione di gruppi, di divisioni. Sono tutti personaggi molto viscerali che non sanno affrontare le situazioni in maniera oggettiva».

Come per tutti i successi La casa di carta viaggia al di là di quel confine impalpabil­e e misterioso che distingue le serie normali e le «fuoriserie» (da Breaking Bad a Homeland, da True Detective a Black Mirror): la capacità di diventare qualcosa di solido a dispetto dell’epoca liquida in cui viviamo che tende a far scorrere tutto senza lasciare traccia: «Perché ha così tanto successo? Credo che questa sia la “grande domanda”. Non sappiamo bene perché. Credo che nel cuore dei personaggi ci sia qualcosa di molto umano, la gente ha empatizzat­o moltissimo con loro e poi c’è questa dicotomia di fondo che non ci fa capire bene chi sono i buoni e i cattivi. Credo che questo nasca dal fatto che i personaggi della banda sono stati presentati per quello che sono, criminali, però allo stesso tempo cercano di sopravvive­re, inseguono la felicità. Questo mostra qualcosa di molto umano. E poi c’è un altro aspetto: erano degli ultimi, senza nessun potere, eppure sono riusciti a farsi portavoce di un messaggio universale contro il sistema».

Femminista, determinat­a, passionale ma anche razionale, Tokyo viene paragonata a una Maserati, la macchina che è un sogno condiviso. L’immaginari­o degli spettatori si plasma su caratteri da fiction: sente il peso di questa responsabi­lità? «No, per niente. Credo che sia un peso

Sul set

«Mi limito a recitare nel migliore dei modi, non voglio essere un esempio da imitare»

che non spetta a me. Io sono un’attrice, mi limito a fare il mio lavoro nel migliore dei modi, mi diverto, però no, non mi farebbe sentire bene. Se ci sono persone che mi prendono come modello voglio dire loro che si stanno sbagliando! Meglio che non lo facciano. Sono sicurament­e imperfetta, voglio continuare ad esserlo e mi piace pensare che sono umana, una persona normale. Nel momento in cui dovessi sentire che sono un riferiment­o per la gente non mi sentirei a mio agio con me stessa».

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Nel mirino L’attrice spagnola Ursula Corberó (30 anni) in una scena della «Casa di carta». In alto a sinistra un’altra immagine della quarta stagione
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