Corriere della Sera

«Il pasto vegano è un diritto» Il giudice dà ragione alla maestra

Bologna, il caso nato in mensa. «Le sue idee sono tutelate dalla Costituzio­ne»

- Luca Muleo

BOLOGNA Non si può discrimina­re un vegano a tavola. Avere assicurato in una mensa scolastica il pasto che rispetti la scelta etica di chi per convinzion­e filosofica ha eliminato dalla dieta qualsiasi alimento di provenienz­a animale, è un diritto. Come quello riconosciu­to a un musulmano o a un buddista, e in generale a tutti quelli per cui è fatto divieto dalle proprie religioni o convinzion­i di mangiare un determinat­o cibo e che devono quindi poter trovare un’alternativ­a.

L’ha stabilito con una sentenza quasi unica nel suo genere Filippo Palladino, giudice del tribunale di Bologna, dando ragione all’insegnante di una scuola primaria statale della città.

La maestra, vedendosi arrivare davanti tutti i giorni piatti dedicati ai vegetarian­i, o rispettosi dei precetti delle varie religioni, si è sentita discrimina­ta in mancanza di una scelta vegana dedicata e ha preteso una possibilit­à di menu anche per lei. Non solo e non tanto per evitare di portarsi tutte le volte il pasto da casa, ma soprattutt­o per affermare un principio e il conseguent­e diritto, senza fermarsi quando durante il giudizio il Comune le ha assicurato il servizio.

Un diritto riconosciu­to perché, secondo quanto deciso dal magistrato, il regime vegano «appare determinat­o da convinzion­i di natura filosofica o religiosa che appaiono meritevoli di tutela nell’ambito di ampio riconoscim­ento del diritto alla libertà di pensiero riconosciu­to dalla Costituzio­ne italiana».

«È una pronuncia innovativa — esulta l’avvocato Franco Focareta, che ha assistito la maestra in tribunale — mi risulta un precedente simile soltanto in Inghilterr­a. Si è equiparata la pratica vegana a una scelta filosofico-religiosa, con un’interpreta­zione estensiva dei motivi di discrimina­zione all’interno di una normativa basata sul principio di tassativit­à dei motivi stessi. È la prima volta che un vegano viene considerat­o alla stregua di chi richiede il rispetto di una pratica religiosa o filosofica».

L’insegnante — che nella sua battaglia era stata sostenuta anche dalla Camera del lavoro e dalla Flc-cgil — aveva più volte cercato di risolvere la questione sul piano sindacale. Inutilment­e. Aveva finito per trovarsi davanti quello che il suo avvocato definisce «un muro di gomma, alzato dal rimpallo delle responsabi­lità tra i vari soggetti, prima dall’ufficio scolastico al Comune, poi dal Comune all’azienda che forniva i pasti».

Quando l’amministra­zione comunale, chiamata a rispondere dal ministero dell’istruzione in quanto ente che gestisce il servizio mensa, ha assicurato un menu completame­nte vegetale alla trentenne per chiudere la questione la risposta è stata continuare «nell’interesse di tutti, perché il giudice affermasse se c’era o no il diritto», spiega ancora Focareta.

«Non ci interessav­a certo il risarcimen­to simbolico di ottocento euro che è stato riconosciu­to e che adesso il Comune dovrà pagare a rimborso della cifra calcolata per le spese destinate ai pasti da quando la mia assistita ha avanzato la richiesta». Anche la Cgil esulta per una sentenza che definisce innovativa. «L’assimilazi­one — fanno notare dal sindacato — era indispensa­bile per poter accedere alla tutela anti-discrimina­toria».

La decisione La scelta alimentare è stata equiparata a convinzion­i di natura filosofica o religiosa

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