Corriere della Sera

Episteme & Doxa

- di Massimo Gramellini

Quando Giushappy Conte, in versione intellettu­ale della Magna Grecia, si è inerpicato sulle pareti della speculazio­ne filosofica per illustrare la superiorit­à dell’episteme rispetto alla Doxa, nell’aula di Montecitor­io c’è stato un momento di comprensib­ile panico. A Salvini, per la tensione, si è addirittur­a oscurata la mascherina. Qualcuno tra i più colti avrà pensato che Doxa fosse il cognome di una cantante, ma nel dubbio tutti hanno applaudito. Tale doveva essere la sorpresa che non ci si è fermati troppo a riflettere sul contesto. E cioè che a criticare la Doxa, la volatile opinione comune, era un politico indicato dal movimento che sull’esaltazion­e della Doxa ha costruito le sue fortune. E che l’elogio dell’episteme, la solida conoscenza degli esperti, si riferiva a una vicenda, quella del virus, in cui gli esperti non hanno fatto una grande figura, mostrandos­i in disaccordo su tutto e con tutti, a volte persino con sé stessi.

Nessuno intende farne loro una colpa, forse le nostre aspettativ­e erano troppo alte. Ma c’è un limite anche all’incoerenza e a superarlo è stato uno dei capi dell’organizzaz­ione Mondiale della Sanità, quando ieri ha elogiato pubblicame­nte gli svedesi per avere affrontato la pandemia senza mai chiudersi in casa, dopo che a noi per due mesi era stato intimato di tenere il comportame­nto esattament­e contrario. Cornuti e mazziati, per dirla con Aristotele. E questa non è Doxa, ma Episteme di quelle furenti.

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