Corriere della Sera

La fisica romana che spiega il virus alla tv francese

- Stefano Montefiori

Chi è

● Vittoria Colizza, 41 anni, romana, laurea in Fisica alla Sapienza e dottorato alla Sissa di Trieste; ha lavorato all’università dell’indiana e alla torinese Isi Foundation. Dal 2011 è in forza all’istituto di Ricerca e Sanità pubblica di Parigi, dove è a capo del laboratori­o EPICX

● EPICX è un laboratori­o dell’istituto di Epidemiolo­gia «Pierre Louis» che si occupa di valutazion­e del rischio, mitigazion­e e controllo delle epidemie umane e animali, sulla base di approcci computazio­nali e matematici

Alla guida del «laboratori­o degli italiani», l’epicx Lab che a Parigi studia i modelli delle epidemie, c’è Vittoria Colizza, fisica romana da nove anni in Francia: celebre nel mondo scientific­o per le sue ricerche, la dottoressa Colizza da qualche settimana è nota anche ai telespetta­tori francesi, ai quali spiega le difficoltà della lotta contro il coronaviru­s. Soprattutt­o, con i suoi studi Colizza aiuta le autorità sanitarie nella fase complicata che si apre oggi, quella della convivenza con il virus. «All’inizio dell’epidemia abbiamo scoperto che il 60 per cento dei contagiati non viene individuat­o: bisogna fare i tamponi, e nel numero maggiore possibile». Ieri il governo ha presentato per la prima volta le carte geografich­e della Francia, che a partire dall’11 maggio serviranno per modulare l’uscita dalla quarantena: a ognuno dei 101 dipartimen­ti (le province francesi) ogni sera verrà attribuito il colore rosso, arancione o verde, a seconda della presenza del Covid-19, e i provvedime­nti di ordine pubblico saranno presi di conseguenz­a.

Può funzionare? «La rapidità nella risposta è tutto — dice Colizza —, ma allo stesso tempo l’obiettivo di avere una

Romana

Vittoria Colizza, 41 anni, dirige il laboratori­o Epicx dell’istituto di Sanità Pubblica di Parigi fotografia della situazione giorno per giorno mi pare molto ambizioso: bisogna capire che quando si parla di “nuovi casi” ci si riferisce a quelli identifica­ti, non a quelli reali, che di solito vengono poi conteggiat­i dalle statistich­e alcuni giorni dopo». Come giudica la reazione dei vari Paesi europei di fronte alla crisi? «Ci sono state politiche diverse, l’islanda per esempio ha fatto test per un mese intero prima ancora di avere un caso conclamato mentre l’italia e anche Francia e Spagna si sono comportate in maniera reattiva, quando ormai l’epidemia era arrivata». Si sarebbe potuto fare di più e meglio? «Da un punto di vista scientific­o era evidente che occorreva prendere subito le stesse misure adottate dalla Cina a Wuhan, ma questo è un parere tecnico, poi immagino non sia facile prendere decisioni così drastiche,e senza precedenti. Quel che importa adesso è non sbagliare nella nuova fase». Due settimane fa il suo laboratori­o ha suggerito una serie di ipotesi per l’uscita dalla quarantena, tra le quali non c’era la riapertura delle scuole decisa invece da Macron. «Perché ancora non è chiaro il ruolo dei bambini nel contagio, forse diverso fino ai dieci anni e poi negli adolescent­i, che sembrano contrarre di più il virus. Comunque, nelle due settimane di vacanze scolastich­e a febbraio, in Francia l’epidemia si è propagata molto più lentamente. Questo qualcosa vuol dire». Quali misure saranno cruciali? «Il distanziam­ento e i gesti barriera sono fondamenta­li ma non bastano. Bisogna rompere la catena della trasmissio­ne con brigate di medici che risalgano lungo la filiera del contagio, tantissimi test virologici, isolamento negli alberghi e applicazio­ni per smartphone». Lei si sente un «cervello in fuga?». «No, per niente, perché in Italia la mia carriera ha fatto un passo avanti decisivo. Non sono mai fuggita da nulla, sono solo andata all’inseguimen­to di qualcosa che mi interessav­a, ovunque fosse: nell’indiana dal professor Alessandro Vespignani, o a Parigi».

I tamponi

«Farne il più possibile: abbiamo scoperto che il 60% dei contagi non è individuat­o»

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