«Un nuovo test in 5 minuti Così cerchiamo la strada per convivere con il virus»
Rosa, Diasorin: tamponi orali, economici e veloci
I n tre mesi di pandemia manager e ricercatori hanno galoppato tra laboratori e centri ospedalieri da una parte all’altra dell’oceano. La squadra di 100 scienziati di Diasorin, divisi tra Saluggia (Vercelli), Gerenzano (Varese) e la California ha bruciato i tempi e, in otto settimane, quando di solito ci vanno dodici mesi, ha permesso a Giulia Minnucci, responsabile della ricerca molecolare in Europa, di portare a casa il primo test molecolare su tampone per l’identificazione rapida del nuovo coronavirus. Risultati in un’ora. Poi è stata la volta del test sierologico, ideato da Fabrizio Bonelli, chief scientific officer del gruppo per verificare chi ha sviluppato gli anticorpi. Entrambi i test sono stati tra i primi a ricevere la certificazione europea e il via libera della severissima Fda statunitense. Il mercato, che già prima del Covid-19 tifava, gli ha riconosciuto tutto. E anche se in mezzo mondo il ricorso alla diagnostica tradizionale e di routine si è quasi dimezzato (chi va in ospedale adesso, se può rinviare?), oggi Diasorin conta su una capitalizzazione di Borsa attorno ai 9 miliardi, non troppo distante dai 12 di Fca, della quale la multinazionale della diagnostica in vitro fu, un tempo, lontana e trascurata provincia.
Ora in Diasorin sono concentrati sull’annuncio numero 3: un test immediato ed economico sulla saliva, capace di farci convivere col virus, come ormai tutte le autorità, in avvio di fase 2, spiegano dovremo fare. «È l’attrezzo che manca alla nostra cassetta», osserva Carlo Rosa, 54 anni, ceo di Diasorin, a fianco della famiglia Denegri nella compagine societaria.
Non bastano i tamponi e la sierologia?
«I tamponi sono fondamentali ma non ce ne sono a sufficienza, non offrono un risultato in tempi abbastanza veloci e non sono economici in rapporto alla necessità».
E i test rapidi sierologici?
«Potrebbero essere uno strumento importante ma, ad oggi, pochissimi sono stati validati in sperimentazioni multicentriche al punto che l’organizzazione mondiale della sanità ha in corso una valutazione per poter esprimere una lista certificata di produttori. Come ricordava giorni fa il professor Alberto Mantovani (l’immunologo direttore scientifico dell’humanitas, ndr), la Gran Bretagna ha dovuto gettare nel cestino intere partite di test rapidi perché non efficaci».
Quindi, cosa manca all’arsenale diagnostico?
«Noi abbiamo bisogno di strumenti per poter convivere con il virus fino al momento in cui una terapia farmacologica o meglio un vaccino efficace saranno resi disponibili. Fino a gennaio la mia vita era fatta di missioni negli Stati Uniti, dove abbiamo impianti e importanti collaborazioni, almeno una volta al mese. Immagini ora chi, alla riapertura, vorrà salire a bordo di un aereo con altri 200 passeggeri senza sicurezza sulle condizioni sanitarie o con il rischio di atterrare ed essere messo in quarantena dopo pochi giorni perché un altro passeggero è risultato infetto. Ma se riusciamo a sviluppare un test poco costoso che, in 5 minuti, riesca a determinare l’esistenza o meno dell’infezione, questo ci consentirebbe di vivere una vita più sicura anche in presenza di Covid-19. Per chiarezza, non si tratta di un test rapido sul sangue, ma deve partire dal tampone. Questo è anche il “tool” che la dottoressa Deborah Birx raccomanda spesso nei quotidiani briefing accanto al presidente Trump ed è diventato l’obiettivo strategico negli Usa».
A quando il nuovo test?
«Ci stiamo lavorando in questi giorni in collaborazione con quello che consideriamo essere il primo operatore al mondo in questo particolare settore. Dire di più sarebbe prematuro».
Come sta andando la produzione degli altri due pro
Carlo Rosa, 54 anni, è amministratore delegato di Diasorin, multinazionale del biotech che ha sede a Saluggia (Vercelli). Il gruppo è quotato a Piazza Affari. Rosa affianca nell’azionariato la famiglia Denegri
dotti per le terapie sul virus?
«Diasorin produce nell’impianto in California circa 450 mila test al mese per l’identificazione rapida molecolare sulla nostra piattaforma Liaison Mdx, 120 mila sono assorbiti dal mercato italiano. È il kit adatto per le strutture di triage, dopo i numerosi casi d’infezione in ospedali e pronto soccorso. Abbatte i tempi di risposta da 6-7 ore a circa 60 minuti e consente dunque un’accettazione ragionata e sicura, dalle ambulanze ai nosocomi. Il test sierologico appena introdotto e approvato dall’fda invece sarà utilizzato su milioni di individui per valutarne la passata esposizione al virus. Recentemente, il nostro test è stato scelto per testare circa 1,5 milioni di cittadini in Belgio e in Israele. Ed è stato scelto anche da diverse regioni italiane per testare gli operatori sanitari. È prodotto a Saluggia, dove lavorano oltre 500 persone».
Il secondo test vi ha portato però anche dispiaceri. Un ricorso al Tar sull’accordo con il San Matteo da parte di un concorrente. La struttura affidata a Domenico Arcuri ha invece deciso l’assegnazione al gigante Usa Abbott del lotto di 150 mila test sierologici per la prima indagine epidemiologica in Italia. Diasorin era l’altro gruppo in pole position (hanno ricevuto 72 offerte). Abbott fornirà gratis questo lotto, ma contemporaneamente metterà sul mercato italiano circa 4 milioni di test. Vuole commentare?
«Viva la concorrenza. Così come noi siamo stati selezionati tra i primi dalle agenzie federali Usa e da altri Paesi europei, l’italia per lo studio epidemiologico ha preso un’altra strada. Abbott è una grande azienda con cui ci misuriamo su tutti i mercati. In Italia, grazie a bravi manager, opera da decenni, va bene così. Ripeto, non si può essere un’azienda globale com’è Diasorin e poi lamentarsi se una gara la vince un altro concorrente. Sulle contestazioni davanti al Tar, posso soltanto dire che a febbraio, nel pieno della pandemia, per fornire tempestivamente un test importantissimo per la lotta contro il Covid19, abbiamo lavorato per le nostre attività di validazione con diversi centri d’eccellenza tra cui il San Matteo di Pavia dove lavora il professor Fausto Baldanti, virologo di livello internazionale di cui dovremmo andare tutti fieri perché è impegnato a combattere la pandemia attraverso la trasfusione di plasma da soggetti guariti ai malati».