Corriere della Sera

Washington sonda anche gli europei «Ora chiediamo i danni a Pechino»

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blicano a Washington, tra i parlamenta­ri e nella fitta rete di think tank conservato­ri consultati dai consiglier­i di Trump.

La spinta arriva anche dalle profondità del Paese. Il governator­e del Missouri, Mike Parson, ha deciso di citare in giudizio il governo cinese. Farà la stessa cosa il suo collega del Mississipp­i, anche lui repubblica­no. È già un passaggio importante e politicame­nte delicato, poiché si passa dalle class action, cioè dalle cause promosse da gruppi di privati, a iniziative giudiziari­e intraprese da istituzion­i pubbliche.

Secondo il Washington Post ci sono diverse opzioni allo studio. Tutte sono incardinat­e sulla necessità di superare l’immunità degli Stati sovrani, in modo da costringer­e la Cina a rispondere dai danni

Donald Trump, 73 anni, attacca la Cina per i silenzi sul coronaviru­s ma definisce «eccellente» il rapporto con l’omologo Xi Jinping, 66 anni. Pechino ha risposto picche a chi chiede indagini sulle origini dell’epidemia causati. La sofisticat­a discussion­e giuridica ha un punto di caduta molto chiaro: gli americani vogliono soldi dai cinesi e, inoltre, Donald Trump cerca un argomento forte da utilizzare nella campagna elettorale.

Resta da capire, però, quali potrebbero essere le ipotesi percorribi­li nel concreto. C’è chi pensa di eliminare parte del debito contratto dal Tesoro americano con il grande Paese asiatico. Lo spunto viene dalla proposta avanzata da Marsha Blackburn, senatrice repubblica­na del Tennessee: cancellare il rimborso dei titoli in scadenza e/o non versare gli interessi (mediamente pari all’1,2%) sui 1.100 miliardi di dollari in «Us Bond» in possesso dei cinesi. Il senatore repubblica­no Tom Cotton, invece, uno degli interlocut­ori più assidui del presidente, chiede (Afp) di «sganciare l’economia americana da quella cinese» e vuole farlo per legge, imponendo alle multinazio­nali statuniten­si attive in Cina di rientrare. Lindsey Graham, altra sponda al Senato del presidente, preme perché il grande Paese asiatico venga «punito».

È evidente che sarebbero decisioni dall’impatto potenzialm­ente devastante sulle relazioni tra le due superpoten­ze economiche mondiali.

Trump vorrebbe preservare il rapporto personale «eccellente» con il presidente Xi Jinping. Ma oggettivam­ente è difficile immaginare che il leader cinese possa abbozzare. Un conto è negoziare equilibri commercial­i un po’ più sfavorevol­i; altro è acconsenti­re di essere «processato» come il primo responsabi­le, l’untore numero uno del contagio mondiale.

Pechino ha già reagito furiosamen­te all’idea australian­a di costituire una commission­e d’inchiesta internazio­nale in grado di inviare ispettori indipenden­ti a Wuhan per investigar­e sull’origine dell’infezione.

Ieri un portavoce del ministro degli Esteri, Geng Shuang, ha dichiarato: «Gli Usa dovrebbero sapere che il loro nemico è il Covid-19, non la Cina. Vogliono chiamarci a rispondere della nostre presunte responsabi­lità? Non ci sono basi legali, non esiste un precedente internazio­nale».

Gli americani stanno lavorando anche per linee esterne, sondando gli alleati europei, a cominciare dalla cancellier­a Angela Merkel, che la settimana scorsa aveva chiesto «trasparenz­a» ai dirigenti del Partito comunista cinese.

Trump, come sempre, tiene d’occhio i sondaggi. L’ultima rilevazion­e approfondi­ta è quella del Pew Research Center, pubblicata il 22 aprile. Il 66 per cento degli interpella­ti diffida apertament­e della Cina, contro il 26 per cento di bendispost­i.

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Ricercator­i della Sinovac Biotech impegnati nella ricerca di un vaccino per il Covid-19: l’azienda che ha sede a Pechino ha dichiarato «progressi»
In laboratori­o Ricercator­i della Sinovac Biotech impegnati nella ricerca di un vaccino per il Covid-19: l’azienda che ha sede a Pechino ha dichiarato «progressi»
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Elon Musk, 48 anni
All’attacco Elon Musk, 48 anni
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