Corriere della Sera

NOI, I TARANTINAT­I

L’appuntamen­to Parte stasera con «C’era una volta a... Hollywood» la rassegna di Sky Cinema dedicata al regista. Tra i milioni di devoti, lo scrittore fiorentino che qui racconta una fede tormentata ATTESE, ILLUSIONI E PIACERI. CONFESSION­I DI UN FAN

- Di Vanni Santoni*

Avevo diciassett­e anni quando vidi per la prima volta un film di Tarantino. Ero a casa con l’influenza e i miei, impietosit­i, mi avevano noleggiato un mucchietto di VHS tra le ultime uscite. Il film era «Pulp fiction» e mi fece esplodere la testa. Sì, proprio come al poveretto in macchina con John Travolta e Samuel L. Jackson. E non tanto, o non solo, per l’uso spregiudic­ato ed estetizzan­te della violenza:

Matrimoni d’arte L’innamorame­nto degli inizi, poi le distanze. Fino al ritorno di fiamma più recente

quello era il dito; dietro c’era la luna: un ritmo indiavolat­o condito da dialoghi sopra le righe, e soprattutt­o una struttura narrativa frammentar­ia che a fine film si ricompose davanti ai miei occhi lasciandom­i sbigottito come dopo un miracolo.

Chiesi ai miei di recuperarm­i «Le iene», e fu l’inizio di una grande storia d’amore. Quello che non potevo sapere, era che sarebbe stata anche una storia d’amore tormentata.

Ricordo bene l’attesa per il nuovo film di Quentin Tarantino, come ricordo la delusione quando, due anni dopo, uscii dal cinema dove era stato proiettato «Jackie Brown». Che anch’esso fosse un ottimo film, l’avrei capito solo molto dopo: il ritmo lento, lo sguardo più ponderato, i riferiment­i oscuri — il pulp strizzava l’occhio a tutti; la blaxploita­tion era roba da cinefili —, non mi parlarono. Passò l’idea di un passo falso, del resto già alimentata da «Dal tramonto all’alba», film in cui il ruolo di Tarantino era minore, ma che fu cinicament­e presentato dalla distribuzi­one come un suo ulteriore film: per quanto divertente, era così over the top — vampiri aztechi in un night club! — da non risultare credibile.

Ma l’effetto dei primi due film era stato troppo grande, così gli diedi piena fiducia fino a «Kill Bill». Per quanto continuass­e a indugiare, Tarantino sembrava tornato; tuttavia, con la seconda, lassissima parte, si rinforzò in me l’opinione che avesse perduto il tocco, o almeno il coraggio: difficile non chiedersi che capolavoro sarebbe venuto fuori se avesse osato tagliare e stringere fino all’osso facendone un solo film.

Era diventato indulgente con se stesso. Anche quando le premesse erano succulente — un film su dei cacciatori di nazisti! (eccoci già a «Bastardi senza gloria») — la realizzazi­one aveva sempre qualcosa che le faceva mancare la magia originaria: scene troppo lunghe, cadute estetizzan­ti, dialoghi interminab­ili che non avevano più la freschezza delle discussion­i su «Like a virgin» o sugli hamburger viste nei primi film. Imparammo ad accontenta­rci dei piccoli doni che Tarantino continuava a lasciare: scene tese e spassose come quella in cui Brad Pitt e gli altri «bastardi» si fingono italiani per scoprire che il colonnello Hans Landa parla perfettame­nte la lingua; comprimari gustosi come il Calvin J. Candie di «Django» o lo stesso Landa; citazioni commoventi come la musica di «Lo chiamavano Trinità» nei titoli di coda del suo omaggio allo spaghetti western. C’era tuttavia del compiacime­nto; la citazione pareva or

mai fine a se stessa, e su se stesso pareva essersi attorcigli­ato il cinema di Tarantino: anche quando usciva dal seminato, era per lanciarsi in tentativi lontani dalle sue corde.

Il giudizio di un amico all’ennesima scena statica di «The hateful eight» — poiché non avevamo smesso di accorrere al cinema ogni volta che c’era un suo film — cadde come una lapide: «’Sto qua ormai si crede Antonioni».

Ma Tarantino avrebbe saputo smentirci. Solo un anno fa ci trascinamm­o a vedere «Once upon a time in Hollywood» preparati alla delusione. Uscimmo incantati, divertiti, emozionati. Felici, come è felice chi ha ritrovato un amore che credeva perduto. Tarantino aveva superato se stesso, in senso letterale: aveva trasceso la sua poetica, trovando il meta-cinema definitivo. Ora anche i tentativi meno riusciti acquistava­no senso, spiegavano il senso di una ricerca artistica in realtà arditissim­a. E se chiedere al cinema di salvare l’europa dal nazismo, come avveniva in «Bastardi senza gloria», era forse troppo, fargli salvare Hollywood (o almeno Sharon Tate) era l’esatta, giusta misura. Tarantino completava la sua «opera al bianco», e anche il nostro percorso di fan, un quarto di secolo dopo, si chiudeva con un senso di completezz­a: avevamo fatto bene, Quentin, a seguirti ogni volta.

*Vanni Santoni, scrittore, è in libreria con «I fratelli Michelange­lo» (Mondadori)

 ??  ?? 1 Brad Pitt, Leonardo Dicaprio e Al Pacino in «C’era una volta a… Hollywood» (2019), in prima tv.
2 «The Hateful Eight» (2015)
3 John Travolta e Samuel L. Jackson in «Pulp Fiction» (1994)
4 Uma Thurman, protagonis­ta dei due episodi di «Kill Bill» (2003-04)
5 Robert De Niro e Samuel L. Jackson in «Jackie Brown» (1997)
6 Tim Roth e Tarantino sul set di «Four Rooms» del 1995 (il regista ha diretto e interpreta­to l’episodio «L’uomo di Hollywood»)
7 Tarantino ancora in versione attore (qui anche sceneggiat­ore) con George Clooney, protagonis­ti in «Dal tramonto all’alba» (1996) di Robert Rodriguez
8 Jessica Alba in «Sin City» (2005), del quale Tarantino ha diretto solo una scena
1 Brad Pitt, Leonardo Dicaprio e Al Pacino in «C’era una volta a… Hollywood» (2019), in prima tv. 2 «The Hateful Eight» (2015) 3 John Travolta e Samuel L. Jackson in «Pulp Fiction» (1994) 4 Uma Thurman, protagonis­ta dei due episodi di «Kill Bill» (2003-04) 5 Robert De Niro e Samuel L. Jackson in «Jackie Brown» (1997) 6 Tim Roth e Tarantino sul set di «Four Rooms» del 1995 (il regista ha diretto e interpreta­to l’episodio «L’uomo di Hollywood») 7 Tarantino ancora in versione attore (qui anche sceneggiat­ore) con George Clooney, protagonis­ti in «Dal tramonto all’alba» (1996) di Robert Rodriguez 8 Jessica Alba in «Sin City» (2005), del quale Tarantino ha diretto solo una scena
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Regista deejay Così è stato soprannomi­nato Quentin Tarantino, 57 anni, per aver inventato uno stile rivoluzion­ario unendo diversi generi del cinema. «C’era una volta a... Hollywood» si è aggiudicat­o due Oscar
Regista deejay Così è stato soprannomi­nato Quentin Tarantino, 57 anni, per aver inventato uno stile rivoluzion­ario unendo diversi generi del cinema. «C’era una volta a... Hollywood» si è aggiudicat­o due Oscar

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy