EVITARE IL RANCORE
Emergenza La domanda che dobbiamo porci in un Primo Maggio senza piazze è la seguente: la caduta del Pil fornirà benzina per una rivolta sociale?
L’ ultimo in ordine di tempo è stato Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia, che ci ha avvisato sui rischi che la crisi verticale del turismo in Laguna inneschi «una bomba sociale». Prima di lui il presidente della Camera di commercio di Crotone Aldo Pugliese ci ha ammonito sullo stesso registro: lo scoppio di una rivolta sociale. Idem Gino Scotto, capo della Federazione autonoma piccole imprese della Sicilia, seguito a ruota dal finanziere Ernesto Preatoni.
Questa però è solo una rassegna degli ultimi giorni, allargando lo spettro temporale si possono trovare molte altre dichiarazioni dello stesso tenore anche da parte di politici e opinion maker di maggior vaglia. Volendo catalogarle, seppur sommariamente, si possono individuare due tendenze: alla prima appartiene chi è sinceramente preoccupato della disoccupazione di massa e ricorre all’iperbole della «bomba» solo per bucare l’attenzione dei media; alla seconda chi evoca l’armageddon sociale con metodo levantino e con lo scopo di tirarsi fuori dal cerchio della responsabilità. «Penso che non riuscirò a fermarli».
Ma per uscire dalle angustie della cronaca, e nel contempo evitare di sfornare oroscopi socio-economici, sarà utile partire da ciò che conosciamo. La Grande Crisi iniziata nel 2008 che pure ha distrutto quasi 10 punti di Pil e ha decimato le piccole imprese italiane (e relativa occupazione) non ha generato rivolte sociali. Il tasso di conflittualità sindacale di quegli anni è rimasto più basso che in passato e non abbiamo avuto autunni o altre stagioni bollenti. Neppure si può dire che la protesta ribelle abbia frequentato altri circuiti: il fenomeno dei Forconi è durato lo spazio di un giro nei talk show. La verità è che il rancore non ha preso la via delle barricate, la mediazione dell’odio è passata prima dai social network con la nascita della figura dell’hater e, successivamente, ha avuto come veicolo il Movimento 5 Stelle. Determinando un terremoto politico all’insegna della caccia alle élite e del disprezzo della mediazione politica tradizionale.
Rievocare questo precedente ci serve ad evitare semplificazioni: il malessere sociale può prendere diverse strade e molto dipende dai soggetti o dalle occasioni che incontra sul suo cammino. Storicamente in Italia è stato il Pci a produrre la migliore «seconda lavorazione» delle fratture sociali sia per la lunghezza del ciclo sia per la ricca plusvalenza politica che ha saputo estrarne. Ma possiamo anche ricordare l’attitudine del sindacalismo metalmeccanico degli anni 70 e concludere che in fondo il populismo grillino non ha fatto altro che espugnare, nel nuovo secolo, la fortezza delle sinistre conquistando il diritto di sventolare la bandiera dei diseguali.
E allora, senza voler sottovalutare la profondità della crisi sociale che ci troveremo davanti nel post-pandemia, la domanda che dobbiamo porci in un Primo Maggio senza piazze è la seguente: la caduta del Pil che già in questo primo trimestre ha segnato -4,7% fornirà benzina per una rivolta sociale? Un indizio per rispondere ce lo fornisce un dato di Prometeia, sottolineato dal professor Enrico Giovannini, secondo il quale nell’intero 2020 il Pil cadrà fino a -6,5% (stima prudenziale) mentre il reddito delle famiglie scenderà dello 0,8%. Aggiungiamo
Promesse
È la trappola del sussidio, del bonus ritagliato per ogni segmento, la mediazione che la politica offre al disagio. Reddito e debito invece di Pil
che per ora non si vedono all’opera soggetti capaci di offrire al malcontento un format di successo. I sindacati e l’associazionismo dei Piccoli avrebbero bisogno di una rifondazione in corsa per candidarsi a cotanto compito e oggi non pare credibile. Le Sardine hanno proposto di recente di attivare il Var della pandemia, un’idea che ci racconta di più dell’astinenza da Serie A dei suoi leader che della loro capacità progettuale. I leghisti continuano a cavalcare un ronzino come l’italexit ma soprattutto non hanno più da giocare la carta di contrapporre la condizione dei penultimi a quella dei migranti. I Cinque Stelle, poi, si sono insediati al potere: controllano il Lavoro, l’industria, l’inps e i navigator e soprattutto hanno sostituito l’odio con il sussidio.
E proprio in questa parola «sussidio» sta la chiave del confronto con il 2008. Allora la comunicazione che arrivava dall’alto seguiva la metrica dei sacrifici, oggi la narrazione è all’insegna del «nessuno verrà lasciato indietro». Non si sta promettendo austerità ma protezione. Al punto che il governo, che pure dispone del Reddito di cittadinanza, ha intenzione di costruire un nuovo veicolo di welfare, il reddito di emergenza, che ne dovrebbe essere il fratello minore ma di cui prima si è scelto il nome e poi verrà individuata la platea dei beneficiari. È dunque la trappola del sussidio, del bonus ritagliato per ogni segmento sociale, la mediazione che la politica offre al disagio. Reddito e debito invece di Pil.
La seconda strada verrà dagli aggiustamenti dell’economia dei servizi. Già mi era capitato di sottolineare come il terziario italiano negli ultimi anni si fosse incamminato pericolosamente lungo la strada del low cost, come avesse scelto il massimo ribasso contro la creazione di valore. È probabile - e qualche segno lo si trova negli accorgimenti escogitati sotto lockdown - che questi settori vengano spinti a scendere più di qualche gradino e inabissarsi creando un popolo di Senza Ricevuta non solo nell’ambito delle attività artigianali ma anche dei servizi professionali di prima e seconda generazione. Così come va messa in conto, come mi segnala Giuseppe De Rita, l’eventualità che gli spazi che sono stati conquistati dalla piccola imprenditoria straniera, e che hanno la loro dimostrazione plastica nei mille minimarket presenti nelle città turistiche, possano contrarsi ed essere occupati da operatori italiani. È lungo queste traiettorie «adattive» che nei prossimi trimestri è facile che vada a riposizionarsi il sistema Italia ed è fin banale sottolineare i rischi che la trappola del sussidio e il revival del sommerso rappresentano per le ambizioni di un grande Paese. Ma è con questa agenda che bisogna confrontarsi ed evitare di chiamare alla rivolta sociale appena si accendono le telecamere.