«Nella caccia ai pirati digitali ora Telegram è un alleato»
Cassano (Guardia di Finanza): avanti finché la battaglia non sarà vinta
«Non ce l’abbiamo con Telegram, ma con chi di Telegram fa un uso distorto. E le imprese oneste vanno tutelate, così come l’economia va salvaguardata da chi la danneggia». Parole di Pierluca Cassano, il colonnello della Guardia di Finanza che la scorsa settimana ha raggiunto un primo importante obiettivo: non era mai accaduto che i responsabili di una piattaforma di messaggistica riconoscessero il problema dei pdf pirata dei giornali. Che in Italia si traduce in queste cifre, stando alle ipotesi della Procura di Bari che ha disposto il sequestro preventivo di urgenza dei canali di Telegram con le copie pirata: danni all’editoria per 670 mila euro al giorno, circa 250 milioni all’anno.
Colonnello, come mai l’inchiesta è partita da Bari? E come ha mosso i primi passi?
«Evidentemente il procuratore aggiunto Roberto Rossi è stato il più proattivo e il primo a capire gli effetti di questa vera e propria ricettazione. Ci ha chiamato nella serata del 23 aprile e ci ha detto che era arrivato il momento di agire, perché si era arrivati a livelli insostenibili. E da allora tre colleghi, Alfredo, Vito e Vincenzo del team Computer forensics data analysis, si sono iscritti a Telegram con nostri numeri e si sono messi a caccia dei pirati. Da allora dormiamo poche ore a notte e per ora hanno trovato almeno 21 canali pirata».
I reati ipotizzati sono gravi: non solo furto e violazione della legge sul diritto d’autore, ma anche riciclaggio, ricettazione, accesso abusivo a sistema informatico o telematico.
«Sì, sono gravi, perché ovviamente non cerchiamo chi cede la copia del giornale acquistata al papà o chi scarica un film di Lino Banfi del 1982. Ma chi crea canali con circa 200 mila utenti, diffondendo illegalmente opere tutelate — non solo quotidiani ma anche film di prima visione — a scopo di lucro. Perché chi crea quei canali, poi rivende i dati di chi si iscrive a grandi aziende».
Per molti dei canali sequestrati, però, sono stati creati dei cloni in poche ore. Non è come raccogliere l’acqua del mare col secchiello?
«No. Mi verrebbe da dire che chi si stanca dopo vince, e noi ci stancheremo dopo visto che il nostro motto è Nec recisa recedit. Ma in realtà già abbiamo fatto dei passi avanti importanti».
Quali?
«Il primo ostacolo da superare è che Telegram non ha ancora warning che bannano immagini e contenuti inopportuni, come avviene su Facebook. Ma almeno siamo passati da canali pubblici a canali privati. Prima bastava effettuare una ricerca su Telegram con una parola chiave, per esempio giornali, e ci si ritrovava in questi canali con pdf pirata. Ora, nei canali nati dopo il sequestro dei primi, occorre essere invitati, come nei gruppi Whatsapp. Questo ha determinato il crollo degli utenti — da 200 mila a 10 mila — perché bisogna fornire dei dati ulteriori. Che è vero che sono di Telegram, ma la Procura non esclude rogatorie a Dubai per ottenerli».
Non vi fermerete, quindi.
«Per nessun motivo. La Fieg ci ha messo a disposizione il suo know how per individuare i siti e con loro e l’agcom il flusso di scambi di informazioni è continuo. Siamo sulle tracce di chi crea questi canali: forse ci vorrà tempo, ma prima o poi li prendiamo. Anche perché non sono escluse perquisizioni, denunce penali, sequestri di computer e sequestri di beni, considerate le ipotesi di riciclaggio e ricettazione. Gli spiritosi stiano attenti».
In che senso?
«Perché quando riaprono canali con nomi leggermente differenti da quelli chiusi, ci arrivano messaggi del tipo “siamo tornati”. Poi, però, quando li prenderemo non potremo tornare più indietro, non esisteranno scuse del tipo “stavamo giocando”. L’indagine è appena nata e non si fermerà. E lo hanno capito anche all’estero».
Avete avuto riscontri anche da oltre confine?
«Ci hanno fatto i complimenti da giornali russi. Ma quello che ci ha colpito di più è arrivato da un giornalista di Latina. Ci ha semplicemente detto: “Grazie per aiutarci a salvare il posto di lavoro”».