Morto il poeta adolescente che criticò i musulmani
Danese di origine palestinese, Yahya Hassan esordì giovanissimo con una raccolta di versi che fu un bestseller. Tradotto da Rizzoli, aveva 24 anni
«Mamma rompe piatti per le scale. Intanto al Jazeera trasmette bulldozer ipercinetici e membra arrabbiate. La striscia di Gaza sotto il sole. Le bandiere che vengono bruciate. Se un sionista non riconosce la nostra esistenza. Se poi davvero esistiamo. Quando singhiozziamo angoscia e dolore...». È una parte della poesia Infanzia di Yahya Hassan (tradotta e pubblicata da Rizzoli nel 2014), il poeta danese di orgine palestinese che il 29 aprile è stato trovato morto (ancora non si conoscono le cause, anche se la polizia al momento esclude un atto criminale) nel suo appartamento nella difficile periferia di Aarhus, la città danese più popolata dopo Copenaghen.
Avrebbe compiuto 25 anni il 19 maggio, ma il suo nome fece scalpore nel 2013 con la prima raccolta di poesie, che lo portò al centro della scena letteraria mondiale. Il suo editore ha ricordato le vendite di quel volume, che portava come titolo il nome del poeta: 120 mila copie. La raccolta di poesia più venduta di tutti i tempi in Danimarca, tradotta in venti lingue. Nel 2019 è uscito il secondo volume, Yahya Hassan 2, con le poesie scritte, come usava fare, tutte in stampatello, quasi a usare metaforicamente il maiuscolo per urlare, per dare più forza al lamento, che è quello di un popolo che non sa con chi riconoscersi.
I suoi versi — detta molto sinteticamente — descrivono la vita di un giovane immigrato musulmano che si sente tradito dalla sua patria e da quella di adozione, e si portano dietro e dentro una violenza a volte soffocata (ma pur sempre percepibile), altre volte manifesta. La sua è la storia di un bambino la cui famiglia palestinese si trasferisce in Danimarca da un campo profughi libanese. È stato aggredito e minacciato di morte per i suoi versi. Ha vissuto sotto scorta. È passato da un istituto di correzione a un reparto di psichiatria. Si era anche iscritto a un partito politico nel 2015, il danese Nationalpartiet, ma fu espulso perché sorpreso alla guida dell’automobile sotto effetto di droghe.
Lo hanno definito il bad boy della poesia, paragonato addirittura a Walt Whitman ed a Eminem. Quando leggeva le sue poesie, Hassan somigliava a un rapper che calca il ritmo della parola, senza enfatizzare però, in un flusso continuo, quasi senza pause. La sua poesia è l’urlo dei musulmani ingannati e abbandonati dal mondo. Incarna una generazione senza futuro, senza progetti, perché «Allah li aveva per noi».