Corriere della Sera

Il viaggio tra i tesori d’arte svela un altro Rinascimen­to

Claudio Strinati racconta le meraviglie italiane in un romanzo di formazione (Salani)

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Venezia, Roma, Firenze. Le città d’arte italiane sono da tempo ingabbiate in percorsi turistici più o meno consolidat­i, scontati. Forse è per questo che quando, di recente, le abbiamo viste svuotate e cloroformi­zzate dall’emergenza sanitaria, ci sono parse così belle e così poco familiari. Lo sguardo laterale sulle città-monumento è uno dei cardini de Il giardino dell’arte di Claudio Strinati (Salani). Storico dell’arte e divulgator­e molto popolare in television­e, Strinati sceglie la forma del romanzo per un viaggio in quelle che ormai con poca fantasia chiamiamo tutti «le meraviglie d’italia», da San Pietro alla Cappella Brancacci.

Si mette nei panni di David, studente canadese che intraprend­e un moderno Grand Tour in apparenza ordinario, cioè incanalato nei soliti percorsi, ma che poi si rivelerà sorprenden­te. Perché David viene guidato da lontano — in un continuo scambio epistolare — dal suo mentore, un professore arguto che con la giusta retorica lo condurrà poco per volta fuori dai binari e gli farà scoprire luoghi, personaggi e opere spiazzanti. Insomma, gli mostrerà quello che per l’autore è la vera grande bellezza.

Strinati è consapevol­e di non essere un romanziere. Così asciuga il più possibile la costruzion­e narrativa e dà spazio invece a riflession­i maturate in anni di ricerche (sono la parte più godibile del libro). Per esempio, quando David giunge alle Grotte Vaticane, un’affascinan­te guida diventa l’occasione per raccontare la storia di Cristina di Svezia. Un personaggi­o singolare, regina virile che rinunciò al trono, si convertì al cattolices­imo in piena Controrifo­rma e giunta a Roma fondò un movimento culturale vivacissim­o. Cristina è sepolta nella Basilica di San Pietro, assieme a numerosi papi. Perché l’italia, ragiona Strinati, è questo: basta abbassare lo sguardo da uno dei tanti nostri pavimenti affollati di turisti e si scopre che, a pochi metri, ci sono storie tanto sconosciut­e quanto intriganti.

Un po’ come quando, partendo per Firenze, David sbaglia treno e si ritrova a Siena. Qui gli si spalanca davanti la bellezza del Pellegrina­io di Santa Maria della Scala, una sala affrescata da alcuni cosiddetti «minori» della metà del Quattrocen­to. Un luogo che nacque in quell’antico ospedale per volere degli stessi cittadini, come è avvenuto per molti altri monumenti italiani: in un Paese in cui l’arte nasce dal senso civico, ragiona Strinati, forse è necessario un approccio diverso ai quadri, ai palazzi, alle chiese. Meno turistico e più critico.

Senza paura di abbattere convinzion­i radicate, un po’ come fa l’autore quando affronta Leonardo da Vinci e Michelange­lo.

Con arguzia polemica, Strinati smonta l’idea stereotipa­ta di Rinascimen­to che si è tramandata fino a noi e sottolinea che la triade Leonardo, Michelange­lo e Raffaello ha goduto di numerose «raccomanda­zioni», poiché gli artisti facevano parte di club esclusivi che li hanno caldamente promossi finendo col mettere in ombra una pletora di talenti finiti nel silenzio. E poi il colpo di coda: «Il criterio della lobby nasce in quel periodo, superando la logica delle Botteghe e delle Scuole con cui l’arte umanistica della seconda metà del Quattrocen­to aveva sempre funzionato. Quella logica viene sostituita con il sistema di potere basato sull’esclusione o l’inclusione, provocando una crisi irreversib­ile nella stessa attività artistica di cui paghiamo le conseguenz­e oggi più che mai con il mito del “bene culturale” fonte di ricchezza e fattore identitari­o per la Nazione».

Questo è il messaggio che il professore-mentore inculca poco per volta in David: l’arte non è mera osservazio­ne e nemmeno puro sollazzo. L’arte è un modo di pensare. Anzi, di discernere quello che è bene e quello che è male, senza perdersi dietro alla distinzion­e tra bellezza e bruttezza, superata da secoli. L’arte, per questo, ha bisogno di occhi educati, non di bastoni per selfie. Non ha bisogno di polemiche pseudo-politiche, ma di ricerca e linfa negli studi. Di mostre che siano l’occasione per riscoprire pittori come Andrea del Sarto, al quale l’autore dedica un capitolo molto bello, come lo si dedichereb­be ad un amore sottovalut­ato ma persistent­e.

Alla fine di quello che vuole essere a tutti gli effetti un romanzo di formazione, David coglierà l’aspetto segreto dell’arte, che tiene assieme Lutero e i papi, le filosofie orientali e il trattato De re aedificato­ria di Leon Battista Alberti, la melanconia di Michelange­lo e i tombaroli del centro Italia. Lunghe riflession­i leggere e pertinenti che si reggono anche senza l’intreccio romanzesco. Ma se ci mettiamo nei panni di David e proviamo a guardare il nostro Paese come un giovane canadese innamorato, forse vedremo per sempre le nostre città così, dalla bellezza antica e pronte a mostrarci ogni volta qualche lato mai veduto prima.

Giudizi

Andrea del Sarto è sottovalut­ato. Leonardo e Raffaello dei «raccomanda­ti»

 ??  ?? Ritratto di giovane, eseguito il 1517 e il 1518 da Andrea del Sarto (1486-1530)
Ritratto di giovane, eseguito il 1517 e il 1518 da Andrea del Sarto (1486-1530)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy