Il viaggio tra i tesori d’arte svela un altro Rinascimento
Claudio Strinati racconta le meraviglie italiane in un romanzo di formazione (Salani)
Venezia, Roma, Firenze. Le città d’arte italiane sono da tempo ingabbiate in percorsi turistici più o meno consolidati, scontati. Forse è per questo che quando, di recente, le abbiamo viste svuotate e cloroformizzate dall’emergenza sanitaria, ci sono parse così belle e così poco familiari. Lo sguardo laterale sulle città-monumento è uno dei cardini de Il giardino dell’arte di Claudio Strinati (Salani). Storico dell’arte e divulgatore molto popolare in televisione, Strinati sceglie la forma del romanzo per un viaggio in quelle che ormai con poca fantasia chiamiamo tutti «le meraviglie d’italia», da San Pietro alla Cappella Brancacci.
Si mette nei panni di David, studente canadese che intraprende un moderno Grand Tour in apparenza ordinario, cioè incanalato nei soliti percorsi, ma che poi si rivelerà sorprendente. Perché David viene guidato da lontano — in un continuo scambio epistolare — dal suo mentore, un professore arguto che con la giusta retorica lo condurrà poco per volta fuori dai binari e gli farà scoprire luoghi, personaggi e opere spiazzanti. Insomma, gli mostrerà quello che per l’autore è la vera grande bellezza.
Strinati è consapevole di non essere un romanziere. Così asciuga il più possibile la costruzione narrativa e dà spazio invece a riflessioni maturate in anni di ricerche (sono la parte più godibile del libro). Per esempio, quando David giunge alle Grotte Vaticane, un’affascinante guida diventa l’occasione per raccontare la storia di Cristina di Svezia. Un personaggio singolare, regina virile che rinunciò al trono, si convertì al cattolicesimo in piena Controriforma e giunta a Roma fondò un movimento culturale vivacissimo. Cristina è sepolta nella Basilica di San Pietro, assieme a numerosi papi. Perché l’italia, ragiona Strinati, è questo: basta abbassare lo sguardo da uno dei tanti nostri pavimenti affollati di turisti e si scopre che, a pochi metri, ci sono storie tanto sconosciute quanto intriganti.
Un po’ come quando, partendo per Firenze, David sbaglia treno e si ritrova a Siena. Qui gli si spalanca davanti la bellezza del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala, una sala affrescata da alcuni cosiddetti «minori» della metà del Quattrocento. Un luogo che nacque in quell’antico ospedale per volere degli stessi cittadini, come è avvenuto per molti altri monumenti italiani: in un Paese in cui l’arte nasce dal senso civico, ragiona Strinati, forse è necessario un approccio diverso ai quadri, ai palazzi, alle chiese. Meno turistico e più critico.
Senza paura di abbattere convinzioni radicate, un po’ come fa l’autore quando affronta Leonardo da Vinci e Michelangelo.
Con arguzia polemica, Strinati smonta l’idea stereotipata di Rinascimento che si è tramandata fino a noi e sottolinea che la triade Leonardo, Michelangelo e Raffaello ha goduto di numerose «raccomandazioni», poiché gli artisti facevano parte di club esclusivi che li hanno caldamente promossi finendo col mettere in ombra una pletora di talenti finiti nel silenzio. E poi il colpo di coda: «Il criterio della lobby nasce in quel periodo, superando la logica delle Botteghe e delle Scuole con cui l’arte umanistica della seconda metà del Quattrocento aveva sempre funzionato. Quella logica viene sostituita con il sistema di potere basato sull’esclusione o l’inclusione, provocando una crisi irreversibile nella stessa attività artistica di cui paghiamo le conseguenze oggi più che mai con il mito del “bene culturale” fonte di ricchezza e fattore identitario per la Nazione».
Questo è il messaggio che il professore-mentore inculca poco per volta in David: l’arte non è mera osservazione e nemmeno puro sollazzo. L’arte è un modo di pensare. Anzi, di discernere quello che è bene e quello che è male, senza perdersi dietro alla distinzione tra bellezza e bruttezza, superata da secoli. L’arte, per questo, ha bisogno di occhi educati, non di bastoni per selfie. Non ha bisogno di polemiche pseudo-politiche, ma di ricerca e linfa negli studi. Di mostre che siano l’occasione per riscoprire pittori come Andrea del Sarto, al quale l’autore dedica un capitolo molto bello, come lo si dedicherebbe ad un amore sottovalutato ma persistente.
Alla fine di quello che vuole essere a tutti gli effetti un romanzo di formazione, David coglierà l’aspetto segreto dell’arte, che tiene assieme Lutero e i papi, le filosofie orientali e il trattato De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, la melanconia di Michelangelo e i tombaroli del centro Italia. Lunghe riflessioni leggere e pertinenti che si reggono anche senza l’intreccio romanzesco. Ma se ci mettiamo nei panni di David e proviamo a guardare il nostro Paese come un giovane canadese innamorato, forse vedremo per sempre le nostre città così, dalla bellezza antica e pronte a mostrarci ogni volta qualche lato mai veduto prima.
Giudizi
Andrea del Sarto è sottovalutato. Leonardo e Raffaello dei «raccomandati»