Corriere della Sera

«Così è stato garantito il cibo agli italiani»

Lavazza, presidente di Unione Italiana Food: la filiera non si è mai fermata, grazie alla responsabi­lità dei lavoratori e al buon sistema di relazioni sindacali

- Di Michelange­lo Borrillo a pagina

«C i troviamo di fronte a una crisi senza precedenti, ma sono certo che la nostra creatività ci aiuterà a reagire e ad adattarci». La filiera agroalimen­tare — di cui Marco Lavazza è protagonis­ta non solo con la sua azienda ma anche con la presidenza di Unione Italiana Food — in realtà ha reagito fin dal primo giorno della crisi: perché non si è mai fermata. Ma adesso che inizia la fase 2 sarà necessario che due degli ostacoli riscontrat­i, ovvero la chiusura di bar e ristoranti e le difficoltà alle esportazio­ni del Made in Italy, vengano rimossi al più presto.

Il mondo dell’agroalimen­tare è stato in trincea in questi due mesi di battaglia al coronaviru­s, subito dietro medici e infermieri. Si può fare un bilancio?

«L’emergenza coronaviru­s ci ha fatto riscoprire il valore

Come un’auto in corsa Ci siamo dotati in tempi record dei dispositiv­i di protezione e assicurato il distanziam­ento

di una delle migliori eccellenze italiane: l’industria alimentare. Con prodotti di alta qualità, sicuri e sempre disponibil­i. Caratteris­tiche che si sono rivelate fondamenta­li: abbiamo avuto fin dal principio la responsabi­lità di garantire a tutti l’accesso al cibo e finora tutto è andato nel migliore dei modi».

Che tassi di assenteism­o avete dovuto fronteggia­re?

«Sette aziende su dieci (70,4%) hanno riscontrat­o variazioni nulle o marginali del tasso di assenteism­o dei lavoratori durante l’emergenza. Un dato che sottolinea il senso di responsabi­lità degli addetti del comparto, ma anche il buon sistema di relazioni sindacali comune a tutte le aziende della nostra associazio­ne».

Come avete garantito la sicurezza dei lavoratori?

«Le aziende alimentari — che hanno dovuto rispondere immediatam­ente all’emergenza e non hanno mai chiuso — si sono dotate in tempi record dei dispositiv­i di protezione necessari, introducen­do procedure mirate ad assicurare il distanziam­ento e ricorrendo laddove possibile allo smart working. È stato come sostituire le ruote ad un’auto in corsa».

Anche per questo, forse, molte aziende hanno premiato i dipendenti. Continuera­nno a farlo anche in questa seconda fase?

«Sei aziende su dieci hanno già previsto riconoscim­enti e incentivi per il personale o si stanno attrezzand­o per farlo. Per il futuro tutto dipenderà dall’evolversi della situazione economica».

Lo smart working vi ha aiutato?

«Molte aziende portavano avanti dei progetti di smart working già da prima della pandemia. Adesso questa soluzione ha visto un’accelerazi­one importante, ma c’è un limite: parliamo di industria, di manifattur­a, quindi ci sono funzioni che necessitan­o della presenza umana. Ciò nonostante il 79% delle aziende ha utilizzato lo smart working».

La logistica vi ha supportato?

«Sì. Anche se ci sono state difficoltà oggettive come la grande richiesta di rifornimen­ti da parte della Gdo, con aumento di costi dovuto, in alcuni casi, a un mutamento delle condizioni di fornitura».

Le scorte si sono esaurite?

«Le scorte di magazzino hanno permesso alle aziende di riorganizz­arsi e riprendere la produzione e hanno aiutato a far fronte alla richiesta triplicata da parte soprattutt­o della grande distribuzi­one».

Come vi siete regolati per la produzione?

«Tante aziende hanno modulato il lavoro nelle fabbriche su tre turni per sette giorni a settimana, questo si è tradotto in nuovi costi che, in aggiunta al rallentame­nto dei ritmi, ha determinat­o una produzione che ha assorbito la marginalit­à, in alcuni casi in perdita. In ogni caso il sistema ha trovato il suo equilibrio e riusciamo a garantire l’approvvigi­onamento di tutti i nostri prodotti».

Che peso ha avuto la chiusura di bar e ristoranti?

«Questa, purtroppo, è una nota dolente. C’è una sensazione diffusa secondo cui il reparto alimentare non sia stato colpito dalla crisi e che anzi ci abbia guadagnato. Non è così: sei imprese su dieci denunciano un calo di produzione e fatturato. E nonostante la crescita dei consumi alimentari domestici a marzo, anche aziende che hanno visto crescere fatturato e produzione hanno però dovuto sopportare un aumento dei costi delle materie prime o della logistica che inciderà negativame­nte sui bilanci. Dall’altra parte troviamo tutte quelle aziende che lavorano soprat

tutto sul canale del “fuori casa” che hanno visto un calo netto delle vendite, che non potrà essere recuperato nei prossimi mesi. E questa difficoltà potrebbe riproporsi anche nella fase 2, perché molte aziende che anche hanno la possibilit­à di produrre si troverebbe­ro comunque private del loro sbocco naturale, ovvero tutto il comparto “fuori casa”. Questa parte della filiera ha bisogno di un grande supporto».

Peseranno anche le mancate esportazio­ni.

«Purtroppo anche su questo fronte ci aspettiamo ricadute in futuro, visto che la pandemia colpisce praticamen­te tutto il mondo e in modo severo alcuni mercati di riferiment­o

Lo stop a bar e ristoranti Il comparto ha sofferto per la chiusura del canale del “fuori casa” e delle mancate esportazio­ni

per il Made in Italy come Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Tutti risentiran­no degli effetti della crisi economica e dobbiamo stare attenti che le quote di mercato dei prodotti italiani non vengano prese da surrogati o da altri prodotti esteri. Ma sono fiducioso».

Perché?

«Perché 8 aziende su 10 (79%) si dichiarano fiduciose sulla tenuta della reputazion­e di marchi e prodotti del Made in Italy. Quindi dobbiamo ancor di più puntare sulla qualità dei nostri prodotti, famosi e apprezzati in tutto il mondo. Dobbiamo ripartire con la certezza che grazie alla nostra tradizione, alle nostre capacità e agli investimen­ti fatti in passato, possiamo e dobbiamo difendere e riaffermar­e con ancora più forza la nostra identità su tutti i mercati».

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