Corriere della Sera

«Il virus partì nel laboratori­o di Wuhan»

Il segretario di Stato Mike Pompeo accusa apertament­e Pechino di non aver arginato la diffusione del virus. Dal rapporto degli 007 del patto «Five eyes» alle pressioni diplomatic­he sugli alleati occidental­i perché insistano su un’inchiesta internazio­nale

- Di Guido Olimpio e Giuseppe Sarcina

Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo accusa apertament­e la Cina per la pandemia da Covid-19: «Ci sono numerose prove che il virus arrivi dal laboratori­o di Wuhan. La Cina ha fatto di tutto per tenerlo nascosto. Ma ne rispondera­nno».

«Ci sono numerose prove che il virus arrivi dal laboratori­o di Wuhan. La Cina ha fatto di tutto per tenerlo nascosto. Classica operazione di disinforma­zione comunista. Ma ne rispondera­nno». Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo accusa apertament­e il Paese guidato da Xi Jinping di non aver arginato la diffusione mondiale del Covid-19. Affermazio­ni durissime che potrebbero avere un grande impatto sulle relazioni tra le due superpoten­ze. Intervista­to ieri dalla tv Abc, Pompeo ha confermato, con forza inedita, «i sospetti» coltivati negli ultimi mesi. «Abbiamo detto fin dall’inizio che questo virus ha avuto origine a Wuhan. Ci sono prove enormi. Dobbiamo ricordare che la Cina ha una storia di infezioni propagate nel mondo e una storia di laboratori al di sotto degli standard. Questa non è la prima volta che il mondo si trova esposto a un virus che è il risultato di errori commessi in un laboratori­o cinese».

Domanda di Abc: il governo di Pechino ha voluto nascondere la gravità della pandemia in modo intenziona­le, per danneggiar­e i Paesi occidental­i? Pompeo non ha risposto. Ha invece insistito sulla mancanza di collaboraz­ione, anche ora che la crisi è mondiale: «Continuano a impedire l’accesso agli occidental­i, ai nostri medici migliori. Ma è necessario che i nostri esperti vadano lì. Non abbiamo ancora i campioni di cui abbiamo bisogno».

Il capo della diplomazia americana, dunque, rilancia le insinuazio­ni avanzate da Donald Trump, giovedì 30 aprile. Il presidente aveva ipotizzato: «Nei laboratori di Wuhan deve essere successo qualcosa di terribile. Può essere stato uno sbaglio, qualcosa che si è sviluppato inavvertit­amente, oppure qualcuno lo ha fatto di proposito».

L’intelligen­ce

L’uscita di Pompeo va inserita in uno scenario ancora opaco, con i servizi segreti che sembrano strattonat­i per motivi politici mentre il Dipartimen­to di Stato sta progressiv­amente affinando la sua posizione. Nessuno, e Pompeo lo ha detto con chiarezza, mette in dubbio la prima conclusion­e dell’intelligen­ce. Il 30 aprile la Dni, la direzione che coordina tutte le agenzie di spionaggio, aveva precisato: «Il virus non è stato creato dall’uomo e neppure manipolato, indaghiamo con rigore per capire se possa esserci stato un incidente nel laboratori­o di Wuhan».

È una posizione attendista, accompagna­ta da indiscrezi­oni sulle presunte pressioni della Casa Bianca sulla Cia, due mondi che da quando c’è Trump non si sono mai amati. Le posizioni pubbliche si intreccian­o con ricostruzi­oni sui media. Il quotidiano australian­o Daily Telegraph sostiene di essere entrato in possesso di un report di 15 pagine elaborato dagli 007 del patto «Five eyes», ossia Australia, Usa, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Canada. Che cosa dice? I cinesi hanno eliminato prove, silenziato testimoni scomodi, non hanno fornito elementi utili per realizzare il vaccino. Sull’origine dell’epidemia esiste un disac

cordo se sia nata nel laboratori­o o nel mercato. Il documento si sposa alla perfezione con l’appello a fare chiarezza avanzato da Usa, Germania, Francia e Australia, quest’ultima determinat­a nell’invocare un’inchiesta internazio­nale. Mossa che non implica necessaria­mente una causa dolosa del disastro ma punta a evidenziar­e errori e mancanze.

La palla torna alle spie, con l’impegno a indagare: però ci si chiede quali possibilit­à abvo biano di scoprire informazio­ni riservate. Gli esperti hanno avanzato dubbi, la Cia ha perso molte fonti. Magari si spera che qualcuno accetti di collaborar­e aprendo una breccia nella muraglia cinese. Forse si tratta di mosse di guerra psicologic­a: infastidir­e Pechino seminando il dubbio in uno scontro oltre il Covid 19.

Diplomazia

Gli Usa stanno lavorando sul piano diplomatic­o. Il tentatiè di coinvolger­e più Paesi per chiedere una commission­e di inchiesta internazio­nale, una volta superata la fase più acuta dell’emergenza. Le prime manovre si stanno sviluppand­o all’interno dell’oms, l’organizzaz­ione mondiale della Sanità. La delegazion­e americana ha cominciato con gli alleati tradiziona­li: i Paesi europei, Canada e Giappone. A Washington si spera che la Cancellier­a Angela Merkel dia un seguito alla richiesta di «trasparenz­a», rivolta la settimana scorsa ai dirigenti del Partito comunista cinese.

Infine c’è il fronte interno. Lo spirito anti-cinese cresce tumultuosa­mente e non solo nella capitale. I governator­i repubblica­ni del Missouri, Mike Parson, e del Mississipp­i, Tate Reeves, hanno deciso di citare in giudizio il governo cinese. L’iniziativa ha subito suscitato obiezioni di tipo giuridico. Ma il significat­o politico è chiaro e certamente non è sfuggito a Pechino.

Al Congresso fioriscono ipotesi «punitive». C’è chi come Marsha Blackburn, senatrice repubblica­na del Tennessee, propone di cancellare il rimborso dei titoli in scadenza o di non versare gli interessi (mediamente pari all’1,2%) sui 1.100 miliardi di titoli Usa in possesso dei cinesi (è il 4,5% sul totale di 24 mila miliardi). Il senatore repubblica­no Tom Cotton, interlocut­ore assiduo di Trump, chiede di «sganciare l’economia da quella cinese», per legge, imponendo alle multinazio­nali Usa attive in Cina di rientrare. In tutto ciò Trump vorrebbe preservare il rapporto personale «eccellente» con il presidente Xi. Ma è difficile immaginare che il leader cinese si faccia processare come l’untore numero uno del contagio mondiale.

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Una foto del 2017 mostra la virologa cinese Shi Zhengli che guida il laboratori­o di infettivol­ogia di Wuhan. In alto a destra l’esterno
(Afp) La sede Una foto del 2017 mostra la virologa cinese Shi Zhengli che guida il laboratori­o di infettivol­ogia di Wuhan. In alto a destra l’esterno
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