«Ho curato Francesco e gli altri con il plasma La terapia funziona»
«In terapia intensiva c’è un ragazzo di 28 anni che si chiama Francesco. Giovedì era in un reparto Covid, venerdì la situazione è precipitata. Abbiamo chiesto al Comitato etico di poter usare il plasma, ci hanno dato il consenso. E...».
Giuseppe De Donno, 53 anni, si prende una piccola pausa. È il direttore della Pneumologia e dell’unità di Terapia intensiva respiratoria all’ospedale Carlo Poma di Mantova. L’emotività tenuta a bada in questi mesi di coronavirus adesso ogni tanto prevale. E lui si commuove.
Come sta Francesco?
«Dopo 24 ore era già sfebbrato e stava bene, oggi (ieri, ndr) lo abbiamo svezzato dal ventilatore. È un ragazzo arrivato qui senza altre patologie oltre al Covid, doveva essere intubato e invece fra due giorni lo potremo restituire ai genitori. Sta così bene che poco fa mi ha mandato un messaggio scherzoso sul telefonino».
Cosa le ha scritto? Prego.
«Non possiamo alimentare false speranze. Mi spiego: se la malattia ha lavorato a lungo fino a compromettere la funzionalità degli organi non c’è plasma che tenga. In quel caso la mortalità resta alta perché la virosi non c’è più e quindi non è più il virus il nemico ma sono i danni prodotti dal virus. Per questo i pazienti molto gravi non possono essere arruolati nel nostro protocollo di ricerca».
Chi ha messo a punto il protocollo?
«È stato ideato da Cesare Perotti e Massimo Franchini, direttori di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale a Pavia e Mantova».
Com’è nata l’idea di usare il plasma?
«È stato un giorno di fine febbraio, è nata da un ragionamento che stavamo facendo io e il dottor Salvatore Casari che dirige Malattie Infettive qui a Mantova».
È vero che gli effetti della cura al plasma si vedono in pochissime ore?
«Diciamo che la percezione viene dagli stessi pazienti, sono loro che ci dicono che il miglioramento è immediato; scompare la febbre, in alcuni casi scompare la tosse in modo istantaneo, i parametri respiratori funzionano. Ci raccontano di avere la sensazione di acquisire fin da subito un po’ di forza e benessere».
Qualcuno sta replicando il vostro studio?
«Il nostro è stato il primo al mondo e adesso in tanti stanno seguendo la stessa strada, sia in Italia sia all’estero. Sabato mi ha chiamato un alto funzionario dell’onu che ha un ruolo importante nella sanità degli Stati Uniti. Useranno anche loro il nostro protocollo, ci hanno fatto i complimenti. È stato emozionante, non sono riuscito a trattenere le lacrime».
Chiamate dall’italia?
«Abbiamo provato a contattare il ministero della Salute ma è stato inutile. Nessun segnale nemmeno dall’istituto Superiore di Sanità. Per ora stanno alla finestra».
I donatori ci sono?
«Altroché. Tanti che stiamo mettendo su una piccola banca del plasma per aiutare gli ospedali qui vicino e si stanno organizzando pullman da Emilia e Liguria. E poi credo anche che ci sarà una seconda sperimentazione».
Cosa c’è nel futuro della vostra cura?
«Spero di cuore nella creazione di un centro di ricerca sul plasma a Mantova. Ora che ci penso: sabato ho incassato l’ok del sindaco, proprio dopo la chiamata dagli Stati Uniti, proprio quando mia figlia che ha 20 anni ha vinto un concorso musicale e proprio il giorno in cui Francesco è stato bene. Ci vorrebbe un 2 maggio alla settimana».