Corriere della Sera

È il valore che ci dice la forza dell’epidemia. Il limite? «Parla soltanto del passato»

Per un virus che circola ormai da mesi, si parla di Rt Se in media ogni nuovo caso non ne genera un altro, allora R è sotto 1: non siamo in una fase di crescita

- Margherita De Bac

l’istituto superiore di sanità. «Ogni caso secondario genera ne genera altri e così si innesca una crescita esponenzia­le della trasmissio­ne. All’inizio dell’attuale pandemia è stato stimato che in media ogni caso infetto ne contagiava altri 3. Significa che da un singolo caso, dopo 10 catene di contagi secondari, si arriva a 58.000 casi».

È un indicatore utilizzato solo nelle epidemie?

Stefania Salmaso ha diretto il centro di epidemiolo­gia dell’istituto superiore di sanità

è largamente usato per la maggior parte delle malattie infettive per le quali è disponibil­e una vaccinazio­ne. Serve a calcolare la quantità di persone esposte al contagio che sostengono la circolazio­ne virale e per definire la quota di quelle che dovrebbero essere immunizzat­e per interrompe­rla. Se una infezione circola da molto nella popolazion­e e induce una immunità protettiva tra chi si è infettato, una ampia parte della popolazion­e non è più attaccabil­e e quindi il numero di casi secondari varia. In questo caso si parla di Rt oppure di tasso di riproduzio­ne effettivo Re».

Laboratori­o

Test per il coronaviru­s in un centro di ricerca

Quale degli indicatori è corretto utilizzare ora?

«In corso di epidemia come l’attuale, che circola ormai da mesi, non si parla più di Ro, ma di Rt. Se in media ogni nuovo caso non ne genera neanche un altro allora R è sotto 1, non è in fase di crescita».

Per la Sars e la pandemia del 2009 quali valori sono stati raggiunti?

«L’attuale pandemia ha dimostrato un tasso di riproduzio­ne (Imagoecono­mica)

iniziale più elevato di Sars (che era circa 2) e della influenza pandemica H1N1 del 2009 (che era circa 1,6)».

Lei insiste sull’importanza di conoscere la data di insorgenza dei sintomi. Perché?

«È importante basare il calcolo del tasso sulle date di insorgenza dei sintomi, per identifica­re correttame­nte la succession­e delle generazion­i di casi e quindi descrivere le variazioni di “forza” epidemica in base alle contromisu­re adottate».

Quali sono i limiti?

«Il calcolo del tasso di riproduzio­ne per ogni regione è stato inserito dal ministro della Salute nell’elenco dei criteri che definiscon­o l’eligibilit­à di ogni regione a transitare a fasi meno restrittiv­e. Ma il tasso di riproduzio­ne misura quanto già accaduto».

Dunque questo indicatore non è tutto?

«Nell’uscita dall’emergenza sarà prioritari­o per ogni area

Prospettiv­a del Paese riuscire a rintraccia­re il maggior numero di infetti, isolarli e interrompe­re la catena di contagi. Più che il tasso di riproduzio­ne, sembra importante identifica­re le occasioni di contagio e ridurle il più possibile. La quota di casi per i quali non si è risaliti all’origine sarà l’indicatore più importante della nostra capacità di controllo».

In uscita dall’emergenza diventerà prioritari­o il numero di casi dall’origine incerta

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