Corriere della Sera

Un patto tra le democrazie per il commercio etico

In «Si può fare!» (Aboca) Christian Felber sollecita a mettere la sostenibil­ità al centro dell’economia

- di Luca Zanini

Sviluppo ecocompati­bile, etica degli affari, sostenibil­ità sociale della crescita. Sono argomenti sempre più frequenti sulla bocca dei grandi protagonis­ti dell’economia mondiale. E sono temi che definiscon­o quella che potrà essere la realtà nel futuro del dopo pandemia. Costruire una società diversa è un obiettivo che potrebbe convincere molte più forze e protagonis­ti dell’economia globale ora che l’emergenza Covid-19 ha sconvolto gli equilibri nei cinque continenti.

Tutto questo non c’era quando Christian Felber, 46 anni, economista austriaco, ha scritto il saggio Si può fare! Per una nuova economia globale fondata sul commercio etico. Eppure il nuovo volume, ora anche nelle librerie italiane per i tipi di Aboca, sembra anticipare la ricetta per uscire dal sistema attuale, che Felber giudica profondame­nte ingiusto.

La discussion­e aperta su come si possa giungere ad uno sviluppo davvero sostenibil­e ha fatto grandi passi avanti da quando un nutrito gruppo di manager Usa delle più grandi multinazio­nali lanciò, nell’agosto 2019, il manifesto per un ritorno ad un’etica sociale dell’impresa. Il discorso si è allargato, dai proclami sulla necessità di una giusta via allo sviluppo che non danneggi l’ambiente, alla consapevol­ezza che la crescita sostenibil­e debba tener conto anche dell’impatto sociale delle — buone o cattive — pratiche del lavoro. E oggi, con la disoccupaz­ione che si prospetta come un incubo all’indomani della paralisi provocata dal lockdown, le tesi dell’economista austriaco appaiono ancora più interessan­ti. Legate, in una concatenaz­ione stretta, con le ultime prese di posizione del Nobel per l’economia Joseph Stiglitz: già tre anni fa, il noto economista della Columbia University diceva che «occorre riscrivere le regole dell’economia», che serve «una politica di contrasto alle disuguagli­anze, e si deve intervenir­e sulle regole del mercato per favorire una migliore distribuzi­one del reddito, rafforzare il potere di contrattaz­ione dei lavoratori, affrontare problemi di governance aziendale e ridurre la forbice tra i compensi dei manager e il salario medio dei dipendenti».

Christian Felber indica un’altra via per arrivare a quei risultati, «per un’economia globale fondata sul commercio etico». Ed è una strada tutta nuova, giacché Felber propone un equo patto tra Stati democratic­i per far crescere «un’economia che metta al centro diritti e sostenibil­ità». Come arrivare ad un obiettivo che, nelle condizioni attuali, può sembrare utopistico? Felber parte dalla consideraz­ione amara che «nel capitalism­o il capitale da mezzo è diventato fine», rilevando come «a risentirne sono tutti gli altri obiettivi e valori e, in ultima istanza, il bene comune». E se Stiglitz ribadisce, nel suo Popolo, potere e profitti (Einaudi), che «il capitalism­o non è finito, ma ha bisogno di un nuovo contratto sociale», l’austriaco insiste che «occorre correggere la deviazione nell’uso dei capitali, uscire dalle logiche guerresche degli accordi Wto, Ttip, Ceta o Nafta». E superare il problema del dibattito tra due estremismi — protezioni­smo e libero scambio — ammettendo che il modo in cui se ne è usciti fino ad oggi è sbagliato: anziché trovare una «misura aurea» tra le due tesi, si è finito con il far prevalere sempre la legge del libero scambio negando soluzioni intermedie.

È un avvertimen­to. Come quello che lancia Naomi Klein quando sottolinea che «nell’era del coronaviru­s tornerà prepotente­mente alla ribalta “la dottrina dello shock”, ovvero la strategia politica dell’usare crisi su larga scala per far passare politiche che sistematic­amente aumentano le disuguagli­anze, arricchisc­ono le élite e tagliano fuori chiunque altro». Felber si scaglia contro la globalizza­zione così come è concepita oggi: «Si è giunti al punto che nel diritto internazio­nale i tentativi di regolament­are, controllar­e, dosare o limitare il commercio vengono sempre più considerat­i illegali e criminaliz­zati». Le amministra­zioni locali «non possono più in alcun modo favorire le imprese locali nelle contrattaz­ioni pubbliche e del mercato del lavoro» (o non potevano, fino all’era Covid). Al contempo, spesso si tutela la proprietà intellettu­ale più di quanto vengano difesi i diritti umani. E ci sono trattati di protezione degli investimen­ti che attribuisc­ono alle multinazio­nali solo diritti, mentre impongono agli Stati ospitanti (democrazie) solo doveri. Felber definisce il mondo del commercio odierno «Assurdista­n».

La vera finalità del commercio, scrive l’autore, dovrebbe essere «la piena attuazione dei diritti umani, uno sviluppo sostenibil­e (con gli Obiettivi individuat­i dall’onu), una buona vita per tutti». E le imprese dovranno essere «società al servizio del bene comune, non macchine per produrre profitti e danneggiar­e le comunità».

Solidariet­à

Le imprese non dovrebbero badare solo al profitto, ma al bene comune

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Flower Market (dettaglio, 2017) dell’artista indiano Suhas Bhujbal, nato nel 1977 in un villaggio del Maharashtr­a

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