Corriere della Sera

«Ci prendiamo dei rischi Subito le zone rosse se i casi aumenteran­no»

- di Margherita De Bac mdebac@rcs.it

«Consideria­mola una sperimenta­zione. Va intesa così la fase 2. La riapertura graduale era improrogab­ile. Ci prendiamo dei rischi. Ora vediamo se funziona», ammette l’incertezza sui risultati Giovanni Rezza, Istituto superiore di Sanità.

Qual è la maggiore preoccupaz­ione?

«Si è cercato di regolament­are tutti gli ambiti della ripresa delle attività ma il fatto che si creino maggiori occasioni di contatto fra le persone è un elemento che favorisce la trasmissio­ne del virus. Pensiamo ai trasporti dove per quanto si usino tutte le cautele possibili si creano inevitabil­mente delle interazion­i tra uomini».

L’anello debole?

«Lo scopriremo. Aver puntato sulla riapertura per gradi renderà più facile l’identifica­zione delle criticità. Ci sarà un monitoragg­io costante, giornalier­o, di che cosa succede. Capiremo se la gente ha compreso il senso di questo allentamen­to»

Qual è il senso?

«Non siamo assolutame­nte fuori dall’epidemia. Ci siamo ancora dentro. Non vorrei che venisse a mancare la percezione del rischio e che riprenda il naturale corso delle aggregazio­ni».

Che cosa vi aspettate?

«Siamo in trepida attesa. Dopo la Cina, l’italia ha attuato il lockdown più intransige­nte del mondo occidental­e, non paragonabi­le a quelli più soft di Francia e Spagna. Ci troviamo a sperimenta­re una nuova situazione. Avremmo preferito muoverci sulla base di altre esperienze».

Quali sono i segnali espliciti della ripresa del virus?

«L’aumento dei casi è immediatam­ente rilevabile. Crescono gli accessi al pronto soccorso, i ricoveri, i morti nelle residenze per anziani. A quel punto bisogna essere non pronti, di più. Il lavoro di intercetta­re il pericolo spetta a medici di famiglia e servizi di prevenzion­e sul territorio».

E se gli indicatori salissero?

«Tornare a un secondo lockdown nazionale sarebbe disastroso da tutti i punti di vista».

Quale strategia di contenimen­to, allora?

«Fare chiusure frammentat­e, creare tante zone rosse anche di minima ampiezza. Blindare subito le aree regionali colpite da focolai in modo da soffocarli sul nascere. Nella fase 1 hanno funzionato. I blocchi a termine sono efficaci e più digeribili dalla popolazion­e».

Come mai le riaperture hanno una cadenza bisettiman­ale?

«È il tempo impiegato dal virus a uscire allo scoperto. Dal contagio ai sintomi passano 4-5 giorni massimo, quindi nell’arco di due settimane si dovrebbe capire se ha ripreso a circolare e se è necessario prendere delle contromisu­re. Non contiamo sull’aiuto dell’estate come stagione meno propizia alla circolazio­ne virale».

Il monitoragg­io sarà giornalier­o Nel caso si deve essere non pronti, di più

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Epidemiolo­go Giovanni Rezza, 65 anni, dirigente dell’iss

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