Gori: la riapertura? Ho il fiato sospeso
«Le cinque province che hanno pagato di più devono avere accesso a fondi maggiori»
BERGAMO «Abbiamo segnalato quei numeri dalla prima metà di marzo».
In provincia di Bergamo i morti tra il 20 febbraio e il 31 marzo sono aumentati del 567,6% rispetto alla media degli ultimi anni, dice l’istat. E forse oggi a scomporsi meno sono proprio i bergamaschi, a partire dal sindaco, Giorgio Gori.
La città più colpita dall’impatto del coronavirus ieri ha rimesso il naso fuori di casa portandosi dietro un peso dovuto — più che a quei dati incredibili (+5.058 decessi presumibilmente ascrivibili al virus in quaranta giorni) — ai lutti vissuti in tante famiglie.
La curva dei morti si impenna a inizio marzo, ma sembra che il resto d’italia se ne sia accorto solo quando si sono viste le bare sui camion militari.
«È così e il fatto che sia servita un’immagine, più dei numeri, a far capire che situazione terribile stavamo vivendo, fa pensare».
Bergamo sente che la sua tragedia è stata sottovalutata?
«Questo sentimento c’è. È stata una sottovalutazione trasversale, che all’inizio ha riguardato politici, virologi, giornalisti. Si parla tanto della zona rossa mancata, ma io penso che la sottovalutazione grave sia stata a monte, nelle indicazioni dell’oms che legavano il pericolo di contagio ai contatti con la Cina, ad esempio. Quando si discuteva di zona rossa, qui il contagio era già troppo diffuso. Certo, alcuni provvedimenti avrebbero potuto limitare le morti, non è poco».
Qual è il sentimento di Bergamo verso il resto del Paese, che ha sofferto ma non con questi numeri?
«C’è questa sensazione di essere stati vittime di una sottovalutazione che, per ora, non si è trasformata in rancore. Cosa che potrebbe succedere se, a errori e ritardi, si sommasse la mancata atten