L’emergenza sanitaria
PER L’ESECUTIVO IDENTITÀ DA REINVENTARE NELLA FASE DUE
Il tentativo cauto di ritornare alla normalità consegna un’italia politica incapace di mostrarsi unita. Il governo di Giuseppe Conte riemerge forse più debole di prima dalla quarantena per la pandemia; ma puntellato, fuori e dentro la maggioranza, dall’incapacità delle opposizioni di proporre un’alternativa fattibile. La Fase 1 ha obbligato tutti a prendere atto che le ostilità contro Palazzo Chigi in un momento di emergenza erano controproducenti. La Fase 2 si apre all’insegna di un rigurgito polemico destinato a peggiorare per le incognite sulla ripresa economica; ma ancora senza sbocco.
Pensare che lo stallo possa essere una garanzia di sopravvivenza, però, è rischioso. Quando si afferma che il futuro del governo si gioca nelle prossime settimane, non si esagera. I malumori per il ritardo dei soldi alle imprese e a chi è in cassa integrazione sono oggettivi. E quando Conte se ne scusa mostra di capire quanto la situazione possa ritorcersi anche contro di lui, la cui popolarità alta comincia a essere in bilico.
L’idea di inserire alcune donne nella squadra numerosa di Vittorio Colao, che accompagna la Fase 2, è un gesto doveroso ma non una garanzia automatica di efficienza.
Il Covid-19 ha rappresentato un banco di prova e insieme uno scudo per la maggioranza tra M5S, Pd, Leu e Iv. Una volta caduto, la scommessa è se la «ragione sociale» del governo andrà modificata, e come. Il sospetto è che lo scontro non si consumerà solo con l’opposizione di destra, radicalizzata dalla Lega e, in misura minore, da FDI, con Silvio Berlusconi attendista. Anche l’ultima proposta salviniana, di una «pace fiscale fino al termine della crisi», ha il sapore di un condono a beneficio degli evasori. Ed è stata accolta gelidamente, come un’ennesima trovata demagogica: nonostante il problema esista per molte piccole imprese.
La stessa polemica leghista contro i finanziamenti europei in arrivo ha qualcosa di stucchevole. Ma i problemi spunteranno comunque, e non solo per le incursioni di un alleato come Iv. Gli scricchiolii che dovrebbero preoccupare Conte sono quelli nei Cinque Stelle. È la polemica inquietante e opaca tra un membro del Csm come il magistrato Nino Di Matteo e il Guardasigilli grillino Alfonso Bonafede: uno scontro che rimanda alle dinamiche interne al Movimento, con Bonafede costretto a difendersi dall’«accusa infamante» di essere stato condizionato in alcune scelte dai boss mafiosi.
Ancora, è la cultura grillina del denaro «a pioggia», tutto in debito, denunciata ieri dal prossimo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi: un tema che riproporrà presto lo scontento sulla gestione degli aiuti per la ripresa. E, come un fastidioso rumore di fondo, spuntano a intermittenza le perplessità su una politica estera nella quale il M5S mostrerebbe un’eccessiva accondiscendenza nei confronti della Cina: un tema che potrebbe diventare dirimente, se le tensioni crescenti tra Washington e Pechino imporranno agli alleati europei una netta scelta di campo. L’italia si candiderebbe a essere tra le nazioni più esposte.