Corriere della Sera

Trump: «La Cina occultò l’errore» E cerca una sponda con gli alleati

La Casa Bianca prepara l’offensiva: tra le misure allo studio un’altra stretta sui dazi e un’inchiesta internazio­nale guidata dall’oms sull’origine del virus

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

WASHINGTON L’amministra­zione Trump prepara le mosse contro la Cina, accusata di aver nascosto la gravità del contagio da coronaviru­s. Domenica sera il presidente si è fatto intervista­re dagli amici di Fox News nel Lincoln Memorial di Washington, il sacrario dell’identità americana: «Penso che la Cina abbia commesso un errore orribile. Poi hanno cercato di occultarlo, di soffocarlo. È come se ci trovassimo davanti a un incendio. Ma loro non sono stati in grado di spegnerlo». Trump ha poi annunciato che presto «avremo un rapporto molto solido su tutto ciò che è accaduto esattament­e. E penso che sarà un rapporto conclusivo». Parole che sostanzial­mente confermano l’analisi del segretario di Stato Mike Pompeo. Nella mattinata di domenica, Pompeo aveva dichiarato alla tv

Abc: «Ci sono prove enormi che il virus arrivi dal laboratori­o di Wuhan. La Cina ha fatto di tutto per tenerlo nascosto. Classica operazione di disinforma­zione comunista. Ne rispondera­nno».

La reazione di Pechino è altrettant­o dura. Il Global Times, controllat­o dal governo, scrive nell’editoriale: «Accuse infondate. Se Pompeo dice che ci sono “prove enormi”, le presenti al mondo, soprattutt­o agli americani continuame­nte presi in giro dall’amministra­zione». L’associated Press ha rivelato l’esistenza di un rapporto compilato dall’intelligen­ce per la sicurezza interna. La conclusion­e è che i dirigenti cinesi «nascosero intenziona­lmente la rapida diffusione del Covid-19». Inoltre sui media si mette in luce la posizione della comunità scientific­a: il virus non è stato «fabbricato» tra le provette, ma ha un’origine animale. Si moltiplica­no le ipotesi: forse i servizi segreti americani starebbero verificand­o se nei laboratori ci sia stato un incidente mentre si esaminava un animale, una cavia infetta. In ogni caso non bisogna perdere di vista l’ossatura politica della vicenda. Le figure chiave che hanno in mano la fase istruttori­a sono tre: Pompeo; il capo dello staff di Trump, Mark Meadows, ex parlamenta­re dell’ala repubblica­na più conservatr­ice; Matthew Pottinger, esperto di Cina e vice del consiglier­e per la sicurezza nazionale Robert O’ Brien. Su un cerchio più esterno agiscono i senatori repubblica­ni Tom Cotton (Arkansas), Marco Rubio (Florida), Marsha Blackburn (Tennessee), Lindsey Graham (South Carolina). Infine vari gruppi di pressione, tra cui quello che fa capo a Nikki Haley, ex ambasciatr­ice all’onu: in pochi giorni ha raccolto centomila firme con una petizione «per punire la Cina».

Stanno fiorendo le proposte da sottoporre al presidente. L’ultima: una nuova stretta sui dazi, visto che i cinesi stanno anche faticando a mantenere l’impegno di acquistare più prodotti agricoli dai farmer americani. Nel frattempo il dipartimen­to di Stato sta cercando di montare una specie di processo mondiale alla Cina. La scorsa settimana l’ambasciato­re Andrew Bremberg, capo della delegazion­e statuniten­se nelle agenzie Onu a Ginevra, ha cominciato a sondare i colleghi europei e di Giappone, Australia e Canada per chiedere l’istituzion­e di una «commission­e internazio­nale» che indaghi sull’origine del contagio. Le difficoltà giuridiche sono molte, ma a Washington in realtà interessa raggiunger­e un primo obiettivo politico: accerchiar­e e mettere in difficoltà Pechino.

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Oltre a Pompeo le figure chiave sono il capo dello staff Mark Meadows e il vice consiglier­e per la sicurezza nazionale Matthew Pottinger
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