Trump: «La Cina occultò l’errore» E cerca una sponda con gli alleati
La Casa Bianca prepara l’offensiva: tra le misure allo studio un’altra stretta sui dazi e un’inchiesta internazionale guidata dall’oms sull’origine del virus
WASHINGTON L’amministrazione Trump prepara le mosse contro la Cina, accusata di aver nascosto la gravità del contagio da coronavirus. Domenica sera il presidente si è fatto intervistare dagli amici di Fox News nel Lincoln Memorial di Washington, il sacrario dell’identità americana: «Penso che la Cina abbia commesso un errore orribile. Poi hanno cercato di occultarlo, di soffocarlo. È come se ci trovassimo davanti a un incendio. Ma loro non sono stati in grado di spegnerlo». Trump ha poi annunciato che presto «avremo un rapporto molto solido su tutto ciò che è accaduto esattamente. E penso che sarà un rapporto conclusivo». Parole che sostanzialmente confermano l’analisi del segretario di Stato Mike Pompeo. Nella mattinata di domenica, Pompeo aveva dichiarato alla tv
Abc: «Ci sono prove enormi che il virus arrivi dal laboratorio di Wuhan. La Cina ha fatto di tutto per tenerlo nascosto. Classica operazione di disinformazione comunista. Ne risponderanno».
La reazione di Pechino è altrettanto dura. Il Global Times, controllato dal governo, scrive nell’editoriale: «Accuse infondate. Se Pompeo dice che ci sono “prove enormi”, le presenti al mondo, soprattutto agli americani continuamente presi in giro dall’amministrazione». L’associated Press ha rivelato l’esistenza di un rapporto compilato dall’intelligence per la sicurezza interna. La conclusione è che i dirigenti cinesi «nascosero intenzionalmente la rapida diffusione del Covid-19». Inoltre sui media si mette in luce la posizione della comunità scientifica: il virus non è stato «fabbricato» tra le provette, ma ha un’origine animale. Si moltiplicano le ipotesi: forse i servizi segreti americani starebbero verificando se nei laboratori ci sia stato un incidente mentre si esaminava un animale, una cavia infetta. In ogni caso non bisogna perdere di vista l’ossatura politica della vicenda. Le figure chiave che hanno in mano la fase istruttoria sono tre: Pompeo; il capo dello staff di Trump, Mark Meadows, ex parlamentare dell’ala repubblicana più conservatrice; Matthew Pottinger, esperto di Cina e vice del consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’ Brien. Su un cerchio più esterno agiscono i senatori repubblicani Tom Cotton (Arkansas), Marco Rubio (Florida), Marsha Blackburn (Tennessee), Lindsey Graham (South Carolina). Infine vari gruppi di pressione, tra cui quello che fa capo a Nikki Haley, ex ambasciatrice all’onu: in pochi giorni ha raccolto centomila firme con una petizione «per punire la Cina».
Stanno fiorendo le proposte da sottoporre al presidente. L’ultima: una nuova stretta sui dazi, visto che i cinesi stanno anche faticando a mantenere l’impegno di acquistare più prodotti agricoli dai farmer americani. Nel frattempo il dipartimento di Stato sta cercando di montare una specie di processo mondiale alla Cina. La scorsa settimana l’ambasciatore Andrew Bremberg, capo della delegazione statunitense nelle agenzie Onu a Ginevra, ha cominciato a sondare i colleghi europei e di Giappone, Australia e Canada per chiedere l’istituzione di una «commissione internazionale» che indaghi sull’origine del contagio. Le difficoltà giuridiche sono molte, ma a Washington in realtà interessa raggiungere un primo obiettivo politico: accerchiare e mettere in difficoltà Pechino.