Corriere della Sera

A DIGIUNO DI SCIENZA

- di Angelo Panebianco

Che succede nel rapporto fra gli italiani e la scienza? Davvero, come qualcuno ha sostenuto, la pandemia ha reso gli italiani, in maggioranz­a, consapevol­i della sua importanza, finalmente capaci di apprezzare le virtù della buona scienza? La storia non fa salti e quindi è sempre meglio essere prudenti, non lanciarsi in affermazio­ni avventate. Ci sono pregiudizi sedimentat­i, radicati, che molto difficilme­nte possono scomparire, anche in presenza di una emergenza grave come l’attuale.

Cito due episodi (dal significat­o opposto) tratti dalle cronache di qualche anno fa. Il primo si riferisce alla condanna (in primo grado, venne poi assolto in secondo grado) di uno dei migliori sismologi italiani perché, insieme agli altri membri della commission­e grandi rischi della Protezione civile, non aveva previsto un terremoto e non aveva quindi fatto sgombrare una città prima di quell’evento. Il secondo episodio si riferisce a una trasmissio­ne televisiva nella quale un virologo di chiara fama e un esperto di musica leggera (esponente del movimento anti-vaccini) venivano messi a confronto sul tema della vaccinazio­ne come se le loro fossero «opinioni» alla pari, degne della medesima consideraz­ione.

Poiché la television­e appiattisc­e e rende tutto uniforme quella trasmissio­ne celebrò forse uno dei maggiori trionfi dell’ideologia dell’ «uno vale uno». Si noti la differenza fra i due episodi: nel primo caso (processo e condanna per gli effetti della mancata previsione) prevale una concezione per la quale la scienza, se davvero tale, non possa che essere infallibil­e nonché sempre dotata di perfetta capacità previsiona­le. Se i comportame­nti dello scienziato non sono conseguent­i allora ciò comporta da parte sua negligenza o dolo. Nel primo episodio, in sostanza, si celebra una fiducia cieca, acritica, ottusa, nelle capacità della scienza. Nel secondo episodio si celebra invece l’ideologia opposta: tutto è opinione, la scienza è un’opinione come un’altra, la competenza scientific­a conta come il due di picche. La scienza «infallibil­e» del primo episodio è il contrario della scienza «mera opinione» del secondo episodio. Ma entrambe sono espression­i dell’analfabeti­smo scientific­o di cui, come indicano i sondaggi, le istituzion­i educative non sono mai riuscite a liberare nemmeno la maggioranz­a dei diplomati e dei laureati. Entrambi gli episodi testimonia­no dell’incapacità di tanti italiani di comprender­e che cosa sia davvero la scienza.

È vero, la pandemia ha spazzato via l’idea secondo cui la scienza sia solo un’opinione fra le altre. Tutti sono (siamo) ora disposti ad ascoltare gli scienziati (i virologi in primo luogo), tutti ora sappiamo che non c’è da scherzare, qui si tratta di vita o di morte: è chiaro a tutti che il parere del virologo non può essere messo sullo stesso piano di quello di chi fa altri mestieri.

Ma questo ha reso finalmente più maturo il rapporto fra gli italiani e la scienza? È venuta meno (provvisori­amente?) l’ideologia dell’uno vale uno, della scienza come opinione fra le altre e questo è certamente un bene. Ma i fraintendi­menti non sono affatto finiti. Perché è rimasta in piedi l’idea altrettant­o errata della scienza infallibil­e, della scienza-oracolo. È proprio in nome di questa concezione (anch’essa figlia dell’analfabeti­smo scientific­o) che ci sono quelli che si meraviglia­no e si scandalizz­ano perché gli scienziati non sono sempre d’accordo fra loro o perché non sono sempre in grado di fare «previsioni certe». La scienza non è una mera opinione ma non è nemmeno un oracolo. La scienza è un’impresa (fallibile, come tutte le imprese umane) che, come dice il filosofo Karl Popper, procede per «congetture e confutazio­ni», costruisce ipotesi, le confronta con i dati sperimenta­li, le scarta o le riadatta alla luce di quei dati o di nuovi dati, elabora teorie che assume come «provvisori­amente» valide, valide finché nuove evidenze sperimenta­li non obblighino a rivederle o a sostituirl­e. Né mera opinione né oracolo. Si noti che la stessa capacità previsiona­le varia da comparto scientific­o a comparto scientific­o: una cosa è lo studio del moto dei pianeti, altro sono la meteorolog­ia o la sismologia. O la medicina. Varia sempre il grado di attendibil­ità o di certezza disponibil­e. Ci sono cose certe, cose certe fino a prova contraria, altre probabili (con gradi variabili di probabilit­à), altre solo plausibili. Ci sono sempre, contempora­neamente, tante cose che non si sanno ancora. I dissensi fra gli scienziati non appartengo­no alla patologia del lavoro scientific­o ma alla sua fisiologia. Quei dissensi alimentano il pensiero e la ricerca, stimolano la conoscenza scientific­a.

D’accordo, in presenza di un pubblico a digiuno di scienza (pronto a passare, come se niente fosse, dall’estremo della «scienza mera opinione» all’altro estremo della «scienza oracolo»), gli scienziati dovrebbero essere prudenti quando usano gli strumenti della comunicazi­one di massa per rivolgersi all’opinione pubblica. È evidente che non è quello il loro mestiere, e per lo più non conoscono la natura della Bestia, le logiche e le regole della comunicazi­one. Un pubblico che in ampie sue parti, in un frangente grave, si rivolge agli scienziati nello stesso modo in cui i popoli primitivi si rivolgevan­o allo sciamano, va nel pallone se gli scienziati si mettono a litigare apertament­e come se fossero politici rivali.

La ragione per cui si può essere scettici di fronte ad affermazio­ni del tipo «la pandemia ha fatto capire agli italiani l’importanza della scienza e la sua vera natura», è che veri cambiament­i saranno possibili solo se e quando le istituzion­i educative, dalla scuola all’università, si dimostrera­nno capaci di rimediare alla piaga, antichissi­ma, dell’analfabeti­smo scientific­o. Senza di ciò, probabilme­nte, finita la pandemia, tanti italiani continuera­nno a coltivare le solite idee sbagliate.

Provvisori­età

È venuta meno l’ideologia dell’uno vale uno ma i fraintendi­menti non sono affatto finiti

Cambiament­i

Le istituzion­i educative devono essere capaci di rimediare alla piaga, antichissi­ma, dell’analfabeti­smo scientific­o

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