I malati prima dell’epidemia «Fateci un test per sapere se davvero l’abbiamo avuto»
MILANO «Per togliersi ogni dubbio e per offrire un contributo allo studio del virus, mio figlio vorrebbe sottoporsi, anche a pagamento, a un test sierologico, ma i laboratori ai quali si è rivolto affermano di non essere autorizzati. Mi chiedo: perché?».
Covid probabili, possibili, dubbi, quasi certi, apparenti. O, all’opposto, non-covid. Dopo che il Corriere ha rivelato un rapporto della Regione Lombardia nel quale venivano indicati almeno 1.200 casi di persone che si erano ammalate di coronavirus prima della scoperta del «Paziente 1» a Codogno (21 febbraio), si sono moltiplicate le mail di lettori che raccontano di aver avuto tutti i sintomi della malattia quando si credeva che il virus non circolasse ancora in Italia, tra dicembre 2019 e gennaio 2020.
Il «Caso 0»
Se almeno in un caso, raccontato qualche giorno fa, una professionista con una polmonite proprio in quel periodo ha avuto la certificazione dal test sierologico di aver contratto il Covid-19, esistono altre centinaia di persone che non hanno fatto il test: e che dunque, avendo riconosciuto i sintomi tipici, ora chiedono di sapere.
Non solo per una questione privata, ma perché l’accertamento dei casi di coronavirus tra dicembre e gennaio potrebbe
Leggi tutte le notizie e gli ultimi aggiornamenti sul coronavirus sul sito online del «Corriere della Sera» dare un patrimonio di conoscenze ai medici e agli epidemiologi, anche per avere un quadro più chiaro di quanti sono ad oggi gli immuni, e dunque sulla residua potenzialità di espansione del virus.
«A Niguarda»
«Questo è il percorso di mio figlio, 43 anni — spiega un lettore (le mail sono tutte firmate, ma per privacy non vengono rivelate le identità , ndr): la sera del 26 dicembre è rientrato a casa avvertendo un fastidioso bruciore agli occhi». Nei giorni seguenti inizia la sequenza di febbre alta e altalenante, antipiretici, antibiotici, malesseri. «Non avendo riscontrato alcun miglioramento, il 31 si è recato al pronto soccorso dell’ospedale di Niguarda. Dal referto gli venivano riscontrati crepitii in base destra, temperatura a quasi 39, “sindrome interstiziale basale destra senza versamento pleurico”. Il sospetto di una polmonite (con l’espressione un po’ stupita della dottoressa: “un’altra polmonite...”) fu confermato dalla successiva radiografia». Poi l’uomo è guarito. Secondo alcuni esperti consultati dal Corriere, sarebbe di certo un caso da «indagare».
«Vorremmo aiutare»
«Ho 64 anni e credo di aver incubato il Covid-19 tra fine gennaio e inizio febbraio — racconta un altro lettore —.
Ho avuto tutti i sintomi, mal di gola, perdita del senso del gusto e dell’olfatto, dolori muscolari, spossatezza, tosse secca, febbre a 38/39 per tre giorni, tra il 7 e il 10 febbraio. Il 13 febbraio, passata la febbre, sono andato dal medico di base. Se questo era Covid19, mia moglie l’ha preso di sicuro da me, ma in forma quasi asintomatica, solo mal di gola, dolori muscolari e febbre a 37,5 per una decina di giorni. Ovviamente non abbiamo fatto alcun tampone, ancora non se ne parlava. Ci piacerebbe molto poter fare i test sierologici per la ricerca degli anticorpi, anche perché, se fosse confermato, vorremmo subito donare il sangue per aiutare qualcuno in difficoltà.
Vorremmo subito donare il sangue per aiutare qualcuno in difficoltà
Ho chiesto a vari istituti, ma nulla: dicono che la Regione non li ha autorizzati
Abbiamo provato a contattare diversi laboratori privati per farlo a pagamento (San Camillo, Columbus, Sant’agostino, Multimedica), ma ad oggi non abbiamo trovato nessuno in grado di farli. Un peccato».
Contatti a rischio
Alcune persone, oltre i sintomi, ricordano anche contatti potenzialmente a rischio: «Ho 47 anni e vivo a Milano. Ho avuto contatti il 18 gennaio con parenti che abitano a Casalpusterlengo (nel Lodigiano, ndr). Il 17 febbraio ho iniziato a stare poco bene». Brividi «da battere i denti», dolori articolari, febbre a 38,5, e di notte «incubi, tremori, mal di testa fortissimo, febbre a 39,5 malgrado la Tachipirina».
La febbre resta sui 39/40 anche dopo. «La mattina in cui arriva la notizia del “paziente 1” a Codogno, vengo visitata da un medico con mascherina. Qualche giorno dopo la dottoressa mi informa che forse potrebbe essere sì il Covid-19, ma che non se la sente di mandarmi a fare il tampone in quanto gli ospedali sono un ricettacolo di virus e batteri. Mi consiglia di continuare la cura e di non uscire per quindici giorni, come se avessi contratto il virus». Anche questa mail si chiude con una richiesta/necessità di chiarimento: «Sarei disponibile a fare un test e sto contattando tanti istituti, professori, medici: ma nulla. Chi mi dice che la Regione non li ha ancora autorizzati, chi mi dice che devo essere su un elenco (quale?). Se fosse utile, vorrei poter donare il mio sangue».