«I dati di Google sugli spostamenti, così calcolo i rischi di una fase 2 con tante vittime»
Ilaria Dorigatti, statistica all’imperial College di Londra che lanciò l’allarme inascoltato lo scorso 17 gennaio «Nessuno voleva accettare la gravità della situazione»
«L’ identificazione dei contagi fuori dalla Cina è preoccupante... Ci potrebbero essere stati più di 1.700 casi a Wuhan fino ad ora (le autorità cinesi allora parlavano di 41, ndr). La grandezza delle cifre indica che non è da escludere una notevole trasmissione del virus da uomo a uomo... si raccomanda di intensificare la sorveglianza e aumentare il livello di preparazione».
L’allarme, loro, l’avevano lanciato il 17 gennaio, oltre un mese prima dell’esplosione dell’epidemia in Italia. Sono i cinque matematici dell’imperial College di Londra che avevano messo nero su bianco i risultati di uno studio rimasto a lungo inascoltato. In quel gruppetto anche un’italiana, Ilaria Dorigatti, trentasettenne originaria di Trento, da nove anni nella celebre università britannica dove insegna epidemiologia delle malattie infettive e si occupa dello sviluppo di modelli statistici per capire come si trasmettono i virus nelle popolazioni.
Collaboratrice stretta di Neil Ferguson, lo scienziato che ha fatto cambiare idea a Boris Johnson sulla politica di contrasto al virus, Dorigatti ha seguito anche l’ultimo report, uscito ieri, sugli scenari futuri per l’italia. «Un ritorno ai livelli di mobilità pre quarantena del 20% potrebbe causare un aumento dei decessi molto maggiore di quanto si sia verificato nell’attuale ondata...». Altro Sos, dunque.
Dottoressa, partiamo da quel primo report. Come rilegge oggi l’inerzia iniziale da parte dei governi occidentali?
«Ci sono state delle resistenze,
Strategia vincente Molto dipenderà dal tracciamento e dall’isolamento tempestivo degli infetti
è vero, nessuno voleva accettare la gravità della cosa pensando che le stime fossero esagerate. Ma bisogna anche dire che quando non ci sono evidenze non è facile prendere provvedimenti. E in ogni caso le risposte dell’italia, che ha dettato la linea, sono state forti ed efficaci».
Quante vite si sarebbero potute salvare se le misure di contenimento fossero partite subito?
«Questa è una stima che non abbiamo ancora elaborato. Speriamo comunque che
in futuro il mondo sia più consapevole del rischio esistente nei virus emergenti e sia capace di prendere seriamente i campanelli d’allarme lanciati dagli epidemiologi».
Ora uscite con un nuovo studio dalle conclusioni sorprendenti: se la mobilità degli italiani torna al 20% dei tempi pre quarantena potrebbero esserci 3.700 decessi in più in 8 settimane (in più rispetto a quelli che ci sarebbero se continuasse il lockdown, ndr). Il Piemonte in testa alla classifica con 1.300 vittime, poi Veneto (930), Toscana (370), mentre in Lombardia «solo» 190...
«Bisogna spiegare bene come si arriva a queste stime. Noi abbiamo preso i dati di mobilità messi a disposizione da Google e abbiamo assunto che le condizioni siano esattamente quelle pre quarantena, senza dunque distanziamento, test, isolamento... Si tratta quindi di proiezioni pessimistiche, dalle quali emerge che le regioni più esposte alla seconda ondata sono Piemonte, Veneto, Toscana e Liguria».
Le meno esposte?
«Valle d’aosta, Molise, Calabria, Basilicata, Marche... Anche in Lombardia i dati sono in discesa. Questo perché il famoso indice R0 che misura l’intensità di trasmissione, in Lombardia al primo maggio era vicino allo 0,6, abbastanza basso. Il pericolo, si sa, scatta a quota 1».
Com’è che Google ha i dati sulla mobilità dei cittadini?
«Non saprei, in ogni caso sono anonimi».
Secondo scenario: mobilità al 40%. Stimate 18 mila morti in più in Italia. Considerato che oggi in alcune regioni è operativo oltre l’80% dei lavoratori, anche se una parte non ha mai smesso, la previsione sembra preoccupante. Corretto?
«Stiamo parlando di ipotesi statistiche basate su una situazione che, ripeto, considera lo scenario peggiore. Molto dipenderà dal rispetto delle misure di contenimento, che noi raccomandiamo con forza assieme a una sorveglianza intensificata con tamponi, tracciamento e isolamento tempestivo degli infetti. Bisognerebbe radiografie in tempi rapidi la situazione dei contagiati perché quando la curva dei ricoveri sale è già troppo tardi. Questo è un periodo delicato, nel quale i margini sono sottili e basta poco a far ripartire l’epidemia».
Il giudizio
Le risposte date dal nostro Paese, che ha dettato la linea, sono state forti ed efficaci
Come avete fatto a convincere il premier Boris Johnson a cambiare rotta?
«Con uno studio sulle strategie di mitigazione e soppressione del 16 marzo. Fino a quel momento la politica era quella di non intervenire fino a che non c’erano evidenze».
Collaborate anche con altri governi?
«Sì, vari, Stati Uniti e Italia compresi».
Quanto lavora?
«Anche di notte».