PEPPINO DI VITTORIO DA CAFONE A LEADER
Caro Aldo, la Rai ha trasmesso uno sceneggiato sulla vita di Giuseppe Di Vittorio, il sindacalista. Molto interessante, ma spietato nel proporre, inevitabilmente, un confronto con l’attuale classe politica. La figura di Di Vittorio, la sua statura morale, il coraggio e la determinazione nel perseguire le sue idee, sempre e comunque, ci hanno trasmesso l’immagine di come può essere un politico che abbia valori, sentimenti, che voglia il progresso dei cittadini e abbia uno sguardo rivolto al futuro di un Paese da ricostruire. È ciò che dovrebbero avere anche oggi i nostri governanti, di fronte al compito di rimettere in moto l’italia dalle macerie del Covid-19. Stefano Crippa, Milano
Anch’io ho rivisto con piacere la fiction diretta da Alberto Negrin sulla vita di Giuseppe Di Vittorio, e non solo per la straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino, che si conferma a ogni occasione il migliore attore italiano. Va premessa una cosa: Di Vittorio era un comunista. Quindi esponente di un’ideologia che ha seminato lutti e dolore ovunque sia andata al potere. Ogni volta che ripeto questa ovvietà vengo sommerso da insulti; purtroppo però non è una mia opinione, ma un fatto. Di Vittorio tuttavia — a differenza di altri comunisti italiani — non aveva le mani sporche di sangue. Anzi, fu uno dei costruttori della democrazia nel nostro Paese.
A sette anni è già nei campi della sua Cerignola. D’inverno resta a lungo disoccupato, d’estate viene chiamato a giornata per una paga miserabile, cui si aggiunge una fetta di pane con qualche goccia d’olio. Si dorme tutti insieme in una baracca, la «cafoneria». Di notte Peppino accende un mozzicone di candela e manda a memoria il libro che si è comprato con i primi soldi messi da parte: un vocabolario.
Si batte con valore nella Grande Guerra. Difende con coraggio fisico i braccianti pugliesi dai fascisti. Ha l’accortezza di non andare in esilio a Mosca ma in Francia; e sempre sceglie una casetta con un pezzo di terra, un orto che coltiva personalmente. Combatte in Spagna contro Franco. Nel dopoguerra tiene le redini del sindacato in anni durissimi. Nel 1956 si schiera con gli insorti ungheresi, contro Togliatti; che lo processa nella direzione del partito e lo fa piangere. Muore l’anno dopo, alla fine di un comizio. Benigno Zaccagnini, futuro segretario Dc, commenta: «Sono convinto che Di Vittorio sia in paradiso».
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