«I viaggi trasportando le bare Sui camion ho perso il cuore»
Su Facebook le parole del caporale Tomaso Chessa «Ogni buca mi sembrava una mancanza di rispetto, pagherei per conoscere le vite e i cari di quei defunti»
Nei giorni terribili di Bergamo, quando il mondo sospirava davanti alle immagini della città, il caporal maggiore Tomaso Chessa guidava uno di quei camion militari. Accanto aveva un collega e con lui fece due viaggi che non dimenticherà mai. «Nel camion non eravamo in due ma in sette... cinque dei quali affrontavano il loro ultimo viaggio... eh sì l’ultimo. Quando il silenzio rompeva la routine, il pensiero si posava su di loro». Con i due militari, verso il forno crematorio, viaggiavano cinque persone che non ce l’avevano fatta. Cinque corpi senza vita, destinati all’ultimo atto su questa terra. Senza un parente, lontani dal loro paese, a bordo di un anonimo mezzo dell’esercito. Le colonne di camion verdi che portavano altrove le vittime della nuova peste perché non c’era più posto a Bergamo, sono uno dei simboli della pandemia, il più cupo e penoso. Novecento bare, trasportate in mezza Italia per un mese interminabile, dal 18 marzo al 17 aprile.
«Io vi dico la mia, anche se sono cosciente di non rendere (per fortuna) l’idea», racconta su Facebook il caporale Chessa, 42 anni, origini sarde, in uno slancio confidenziale che supera le strette regole dell’esercito. Sulla vicenda le
Forze armate hanno infatti scelto un rispettoso silenzio. Con questo racconto, il caporale ha voluto restituire un po’ di calore alla fredda processione di quei giorni. «Ti rendi conto di essere la persona sbagliata, o meglio, qualcuno doveva essere al posto tuo ma purtroppo non poteva e allora
Tomaso Chessa, 42 anni, caporal maggiore in forza al reggimento di supporto al comando Nato tocca a te... e ti senti addosso una grande responsabilità, qualcosa che ti preme dentro. Ogni buca, ogni avvallamento sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti... poi arrivi alla fine del viaggio, dove ti ritrovi ad abbandonare “il tuo carico”, che ormai fa parte di te. È come se ti togliessero una parte di cuore, ed è lì che cerchi di capire l’identità del tuo compagno... cosa difficilissima».
Lui, soldato e operatore funebre. Naturalmente era la prima volta per Chessa, da 22 anni nell’esercito e attualmente in forza al reggimento di supporto logistico al comando della Nato, a Solbiate Olona. «Delle otto persone che personalmente ho accompagnato, l’unica della quale sono risalito all’identità è il signor Guerra, classe 1938. Pagherei per conoscere tutti i parenti delle otto persone e poter dire loro che nonostante il contesto non avrebbero potuto fare un viaggio migliore». Chiude con una speranza: «Vorrei conoscere le persone care dei miei compagni di viaggio, ma se così non fosse sappiano che c’ho messo l’anima!».