Nuovi obblighi per limitare le scarcerazioni
Bonafede ancora al lavoro sul decreto legge, i tribunali si dovranno rivolgere prima al Dap Tensioni sul ministro tra Italia viva e 5 Stelle La presidente Fiorillo: scelte sempre motivate
Una modifica dell’ordinamento penitenziario permetterà di revocare gli arresti domiciliari o le altre misure alternative per i detenuti al «41 bis» o considerati più pericolosi nel momento in cui venissero meno le condizioni che le hanno provocate. È un nuovo tassello del decretolegge antiscarcerazioni di cui s’è ancora discusso ieri in un nuovo vertice serale tra il ministro della Giustizia grillino Alfonso Bonafede, il sottosegretario del Pd Andrea Giorgis e gli altri responsabili dei partiti di maggioranza. In più — oltre alla rivalutazione immediata sulla base delle mutate condizioni sanitarie e poi periodica dei provvedimenti emessi nelle ultime settimane da parte dei giudici di sorveglianza — sarà introdotto l’obbligo di interloquire con
Procure è un altro».
Quale?
«Più che il parere a noi interessano i dati di fatto sui quali è fondato, ma se come l’amministrazione penitenziaria per trovare posti nelle strutture protette degli ospedali convenzionati con le carceri, che la nuova gestione del Dap sta ampliando proprio in questi giorni. Accertata l’assenza di soluzioni alternativa, i domiciliari dovrebbero essere accompagnati dall’uso del braccialetto elettronico, ma resta incerta l’obbligatorietà.
In attesa che il decreto veda spesso accade ci mandano l’elenco delle sentenze di condanna o dei procedimenti in corso, non ce ne facciamo niente: quegli atti li conosciavi mo già, sono il punto di partenza del nostro lavoro. A noi servono informazioni sull’attualità dei collegamenti con l’associazione mafiosa, i nuo
Guardasigilli Il ministro M5S Alfonso Bonafede, 43 anni la luce Italia viva si aspetta indicazioni anche dal premier Conte per decidere quale atteggiamento prendere sulla mozione presentata dall’opposizione contro Bonafede. Ma oltre alla difesa di Di Maio, il blog dei Cinque Stelle avverte: «Non ci piacciono le minacce. Sfiduciare lui è sfiduciare tutti noi». contesti criminali».
Però alcuni suoi colleghi hanno scarcerato capimafia sostenendo che l’età avanzata e la lunga detenzione ne riducono la pericolosità...
«Non voglio parlare dei singoli casi, ma in generale dico che per i capimafia l’età avanzata non significa niente. Errori e valutazioni sbagliate sono sempre possibili, anche nei nostri provvedimenti, ma non si può generalizzare. Io credo che il nostro lavoro richieda un costante contatto con il carcere e i detenuti; bisogna guardarli in faccia, è necessario il dialogo e il confronto, non possiamo decidere solo sulle carte».
Pare che in futuro dovrete rivalutare periodicamente le vostre decisioni sulle scarcerazioni connesse al Covid.
«Vedremo che cosa scriveranno, ma noi facciamo già verifiche periodiche a un mese, due mesi, sei mesi o di più, a seconda dei casi. Certo che se ci chiedono di rivedere le decisioni ogni quindici giorni si porrà anche un problema di organici per smaltire la mole di lavoro in più».
Insomma, non siete i giudici «buonisti» a cui piace liberare i detenuti?
«Non credo che i miei detenuti abbiamo mai avuto la sensazione che lavorassi alla Caritas! Battute a parte, questa considerazione è solo frutto di pre-giudizi che andrebbero abbandonati una volta per tutte. Il nostro lavoro dev’essere giudicato verificando la capacità, la professionalità e il buon senso con cui viene svolto; e lo dico per tutta la magistratura, non solo quella di sorveglianza».
Come si fa a scegliere tra la salute del detenuto e la sicurezza della collettività?
«La premessa è che secondo la nostra Costituzione la salute del cittadino, anche in condizioni di detenzione, viene prima di ogni altra cosa, dopodiché è un problema di bilanciamento da raggiungere su ogni singola situazione. Ma vorrei ricordare che il differimento della pena per gravi motivi di salute è previsto dal codice penale del 1930; e noi siamo giudici, non possiamo interpretare le norme a seconda dell’emotività dettata dal momento. Se poi quelle norme non sono più considerate consone al sentire comune si possono cambiare, ma compito della politica, non nostro».