Corriere della Sera

Il vescovo Wilmer e le colpe della Chiesa

- Di Paolo Lepri @Paolo_lepri © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Il coronaviru­s non è una punizione di Dio ma una catastrofe naturale», ha detto il vescovo di Hildesheim, Heiner Wilmer. Fin qui tutti dovrebbero essere d’accordo, ma il fatto che il presidente della commission­e «Iustitia et Pax» della Conferenza episcopale tedesca sia stato spinto a fare questa riflession­e la dice lunga sulla presenza nel mondo di fondamenta­listi e complottis­ti dalle varie facce. Passando ad un’altra tragedia, meno vicina nel tempo, non si può non essere ugualmente d’accordo con lui quando afferma che durante il nazismo la chiesa tedesca «non ha dimostrato sufficient­e attenzione alle sofferenze». Si tratta di un grande tema, sicurament­e controvers­o, che deve trovare spazio nella memoria.

Un contributo per non dimenticar­e viene proprio dal documento della conferenza episcopale del quale Wilmer è stato probabilme­nte uno dei principali ispiratori. Ventitré pagine, il cui filo conduttore — come ha scritto The Times — è una sostanzial­e ammissione di complicità. «Nella misura in cui i vescovi non si sono opposti alla guerra con un chiaro “no” — si legge — e poiché la maggioranz­a di loro ha sostenuto la volontà della nazione tedesca di perseverar­e, essi si sono resi complici». L’opera di sostegno spirituale ai soldati nella prosecuzio­ne delle operazioni militari — prosegue il testo — ha finito per attribuire alla guerra una «motivazion­e addizional­e».

Cinquantan­ove anni, nato in Bassa Sassonia, figlio di agricoltor­i, una laurea e un dottorato di ricerca in teologia, una seconda laurea in storia, poliglotta, Wilmer ha sottolinea­to l’esistenza di «fatti incontesta­bili». Tra questi — citati nel documento presentato il 29 aprile, pochi giorni prima del settantaci­nquesimo anniversar­io della sconfitta di Hitler — la presenza di centinaia di cappellani sul fronte tra il 1939 e il 1945 e la riconversi­one di migliaia di proprietà della Chiesa in ospedali militari dove le suore prestavano servizio di infermiere. Non insabbiare il passato, insomma, è fondamenta­le per interpreta­re il presente. Che l’ex superiore generale dei Dehoniani guardi al nuovo lo dimostra la sua opinione sul celibato degli ecclesiast­ici: «Per dargli una luce più intensa bisogna che non sia obbligator­io».

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