Il vescovo Wilmer e le colpe della Chiesa
«Il coronavirus non è una punizione di Dio ma una catastrofe naturale», ha detto il vescovo di Hildesheim, Heiner Wilmer. Fin qui tutti dovrebbero essere d’accordo, ma il fatto che il presidente della commissione «Iustitia et Pax» della Conferenza episcopale tedesca sia stato spinto a fare questa riflessione la dice lunga sulla presenza nel mondo di fondamentalisti e complottisti dalle varie facce. Passando ad un’altra tragedia, meno vicina nel tempo, non si può non essere ugualmente d’accordo con lui quando afferma che durante il nazismo la chiesa tedesca «non ha dimostrato sufficiente attenzione alle sofferenze». Si tratta di un grande tema, sicuramente controverso, che deve trovare spazio nella memoria.
Un contributo per non dimenticare viene proprio dal documento della conferenza episcopale del quale Wilmer è stato probabilmente uno dei principali ispiratori. Ventitré pagine, il cui filo conduttore — come ha scritto The Times — è una sostanziale ammissione di complicità. «Nella misura in cui i vescovi non si sono opposti alla guerra con un chiaro “no” — si legge — e poiché la maggioranza di loro ha sostenuto la volontà della nazione tedesca di perseverare, essi si sono resi complici». L’opera di sostegno spirituale ai soldati nella prosecuzione delle operazioni militari — prosegue il testo — ha finito per attribuire alla guerra una «motivazione addizionale».
Cinquantanove anni, nato in Bassa Sassonia, figlio di agricoltori, una laurea e un dottorato di ricerca in teologia, una seconda laurea in storia, poliglotta, Wilmer ha sottolineato l’esistenza di «fatti incontestabili». Tra questi — citati nel documento presentato il 29 aprile, pochi giorni prima del settantacinquesimo anniversario della sconfitta di Hitler — la presenza di centinaia di cappellani sul fronte tra il 1939 e il 1945 e la riconversione di migliaia di proprietà della Chiesa in ospedali militari dove le suore prestavano servizio di infermiere. Non insabbiare il passato, insomma, è fondamentale per interpretare il presente. Che l’ex superiore generale dei Dehoniani guardi al nuovo lo dimostra la sua opinione sul celibato degli ecclesiastici: «Per dargli una luce più intensa bisogna che non sia obbligatorio».