«Ancora coworking, con più distanza»
Flessibilità e piccole manovre che cambiano gli spazi: così i luoghi di lavoro ripensano la socialità
Inevitabili (si riteneva) affastellamenti di scrivanie, piani di appoggio, sedute da conferenza e da attesa. Così i nostri luoghi di lavoro, diventati nel tempo innovativi per estetica e varietà tipologica degli arredi, rimanevano pur sempre «abitati» pressoché costantemente. Al massimo, per le realtà più coraggiose, l’uso degli spazi era diventato flessibile in base a precise professionalità e dinamiche organizzative. Tutto questo pre Covid-19.
Che il momento attuale rappresenti uno spartiacque per ripensare gli ambienti ufficio, è un dato di fatto. I luoghi di lavoro diventeranno per pochi, complice l’affermazione dello smartworking? Gli arredi torneranno a essere solo personali, contro l’imperante tendenza allo sharing? Serviranno nuovi oggetti «da lavoro»? Forse niente di tutto questo, come ci raccontano quattro realtà, tra produzione, progettazione e creatività.
«Nel mondo ufficio stavamo già assistendo a un cambio delle modalità di lavoro, e gli spazi adeguarsi di conseguenza. La pandemia, con l’incremento dello smartworking, è stata solo un acceleratore, ma l’ufficio come luogo che crea senso di appartenenza non sarà mai scalfito. Qui avvengono le condivisioni che generano le idee, per questo la sua frequentazione rimarrà», premette Alessandro Adamo, direttore di DEGW, divisione del gruppo Lombardini 22 dedicata alla progettazione degli spazi di lavoro (tra i più noti, la sede milanese di Microsoft). Quali sono quindi gli effetti immediati prodotti dal coronavirus nei progetti? «Prima di tutto la definizione chiara dei percorsi interni. Da cui potranno derivare variazioni di layout ma attraverso soluzioni non permanenti: potrà bastare togliere degli arredi e distanziarne altri». Fondamentale, dice, la «segnaletica»: «Una grafica che indichi dove posso stare e spostarmi, ma anche le sanificazioni avvenute. Comunicando, attraverso la chiarezza, un senso di tranquillità». Altro tema cardine, le procedure sull’uso sicuro degli strumenti di lavoro: «Certo, servirà curare di più le postazioni condivise: tavoli e piani di appoggio dovranno essere facili da igienizzare. Lasciandoli sempre liberi».
I coworking: viene spontaneo chiedersi se tramonteranno. «Al contrario, noi ci aspettiamo che siano più richiesti. Dopo mesi passati a lavorare reclusi, potranno diventare un’appendice domestica, piacevole e organizzata dove recuperare una nuova socialità. Oppure, luogo per uffici “stabili” che desiderano snellirsi», afferma Federico Lessio, membro del board dei coworking Copernico. Così, le sale meeting diventeranno per pochi ma con sistemi video potenziati e gli ambienti aperti avranno postazioni più rarefatte: «Erano già quasi tutte singole e configurabili, e basterà distanziarle. Dotandole, volendo, di separatori in plexiglas: per esempio all’esterno, dove si potrà pranzare con il nostro take-away interno, in sicurezza».
Quindi nessun »mobile Covid»? «Un tempo scrivanie e poltrone erano studiate per l’ergonomia in funzione dello schermo del pc. Nell’ultimo decennio, invece, è diventata centrale la dimensione sociologica: maggiore fluidità degli arredi per assecondare grandi uffici condivisi», spiega Paolo Fantoni, presidente del gruppo omonimo leader da oltre 40 anni negli arredi da ufficio, che (prima della pandemia) aveva già messo a punto un sistema completo di mobili flessibili e combinabili: «Con scrivanie da condividere “a distanza”, grazie a schermi o a divisori-librerie. Ideali per il lavoro di oggi, su progetti specifici e a gruppi. Tenuti ben separati tra loro».
Arredi metti-togli, che cambiano senza cambiare: sarà la lezione del coronavirus. Ne è convinto Claudio Feltrin, presidente di Arper, marchio inventore del concetto di un ufficio dagli arredi domestici, singoli, senza spigoli e colorati. «Coworking e lavoro condiviso, con più o meno persone, ci hanno spinto verso spazi mobili e facili. Tornare a chiudersi non è più possibile: serviranno arredi da cambiare con pochi gesti, piccoli divisori per garantirci isolamento sanitario (ma provvisorio), sedute singole multifunzione aggregabili solo all’occorrenza». Insomma, si usa quello che si ha. Per un’autarchia positiva, confidenti che questo, nella storia dell’ufficio, rimanga un semplice episodio.
Doppia esigenza
«La pandemia accelera lo smartworking, ma serve un posto che crei senso di appartenenza»
Gli accorgimenti
Sale meeting per pochi ma con sistemi video potenziati, divisori a libreria o in plexiglas