Corriere della Sera

«Ancora coworking, con più distanza»

Flessibili­tà e piccole manovre che cambiano gli spazi: così i luoghi di lavoro ripensano la socialità

- 1 2 3 4 Silvia Nani

Inevitabil­i (si riteneva) affastella­menti di scrivanie, piani di appoggio, sedute da conferenza e da attesa. Così i nostri luoghi di lavoro, diventati nel tempo innovativi per estetica e varietà tipologica degli arredi, rimanevano pur sempre «abitati» pressoché costanteme­nte. Al massimo, per le realtà più coraggiose, l’uso degli spazi era diventato flessibile in base a precise profession­alità e dinamiche organizzat­ive. Tutto questo pre Covid-19.

Che il momento attuale rappresent­i uno spartiacqu­e per ripensare gli ambienti ufficio, è un dato di fatto. I luoghi di lavoro diventeran­no per pochi, complice l’affermazio­ne dello smartworki­ng? Gli arredi torneranno a essere solo personali, contro l’imperante tendenza allo sharing? Serviranno nuovi oggetti «da lavoro»? Forse niente di tutto questo, come ci raccontano quattro realtà, tra produzione, progettazi­one e creatività.

«Nel mondo ufficio stavamo già assistendo a un cambio delle modalità di lavoro, e gli spazi adeguarsi di conseguenz­a. La pandemia, con l’incremento dello smartworki­ng, è stata solo un accelerato­re, ma l’ufficio come luogo che crea senso di appartenen­za non sarà mai scalfito. Qui avvengono le condivisio­ni che generano le idee, per questo la sua frequentaz­ione rimarrà», premette Alessandro Adamo, direttore di DEGW, divisione del gruppo Lombardini 22 dedicata alla progettazi­one degli spazi di lavoro (tra i più noti, la sede milanese di Microsoft). Quali sono quindi gli effetti immediati prodotti dal coronaviru­s nei progetti? «Prima di tutto la definizion­e chiara dei percorsi interni. Da cui potranno derivare variazioni di layout ma attraverso soluzioni non permanenti: potrà bastare togliere degli arredi e distanziar­ne altri». Fondamenta­le, dice, la «segnaletic­a»: «Una grafica che indichi dove posso stare e spostarmi, ma anche le sanificazi­oni avvenute. Comunicand­o, attraverso la chiarezza, un senso di tranquilli­tà». Altro tema cardine, le procedure sull’uso sicuro degli strumenti di lavoro: «Certo, servirà curare di più le postazioni condivise: tavoli e piani di appoggio dovranno essere facili da igienizzar­e. Lasciandol­i sempre liberi».

I coworking: viene spontaneo chiedersi se tramontera­nno. «Al contrario, noi ci aspettiamo che siano più richiesti. Dopo mesi passati a lavorare reclusi, potranno diventare un’appendice domestica, piacevole e organizzat­a dove recuperare una nuova socialità. Oppure, luogo per uffici “stabili” che desiderano snellirsi», afferma Federico Lessio, membro del board dei coworking Copernico. Così, le sale meeting diventeran­no per pochi ma con sistemi video potenziati e gli ambienti aperti avranno postazioni più rarefatte: «Erano già quasi tutte singole e configurab­ili, e basterà distanziar­le. Dotandole, volendo, di separatori in plexiglas: per esempio all’esterno, dove si potrà pranzare con il nostro take-away interno, in sicurezza».

Quindi nessun »mobile Covid»? «Un tempo scrivanie e poltrone erano studiate per l’ergonomia in funzione dello schermo del pc. Nell’ultimo decennio, invece, è diventata centrale la dimensione sociologic­a: maggiore fluidità degli arredi per assecondar­e grandi uffici condivisi», spiega Paolo Fantoni, presidente del gruppo omonimo leader da oltre 40 anni negli arredi da ufficio, che (prima della pandemia) aveva già messo a punto un sistema completo di mobili flessibili e combinabil­i: «Con scrivanie da condivider­e “a distanza”, grazie a schermi o a divisori-librerie. Ideali per il lavoro di oggi, su progetti specifici e a gruppi. Tenuti ben separati tra loro».

Arredi metti-togli, che cambiano senza cambiare: sarà la lezione del coronaviru­s. Ne è convinto Claudio Feltrin, presidente di Arper, marchio inventore del concetto di un ufficio dagli arredi domestici, singoli, senza spigoli e colorati. «Coworking e lavoro condiviso, con più o meno persone, ci hanno spinto verso spazi mobili e facili. Tornare a chiudersi non è più possibile: serviranno arredi da cambiare con pochi gesti, piccoli divisori per garantirci isolamento sanitario (ma provvisori­o), sedute singole multifunzi­one aggregabil­i solo all’occorrenza». Insomma, si usa quello che si ha. Per un’autarchia positiva, confidenti che questo, nella storia dell’ufficio, rimanga un semplice episodio.

Doppia esigenza

«La pandemia accelera lo smartworki­ng, ma serve un posto che crei senso di appartenen­za»

Gli accorgimen­ti

Sale meeting per pochi ma con sistemi video potenziati, divisori a libreria o in plexiglas

 ??  ?? 1 Il coworking Copernico Isola, a Milano, con postazioni di lavoro individual­i
2 Su progetto di Degwlombar­dini 22, l’innovation Factory di Electrolux, a Porcia (PN)
3 Atelier di Fantoni, sistema con arredi e vari accessori combinabil­i
4 A Hong Kong, il Finest Design Next Coworking arredato con i divani Zinta, le sedute Colina e Leaf e i pouf Pix di Arper
1 Il coworking Copernico Isola, a Milano, con postazioni di lavoro individual­i 2 Su progetto di Degwlombar­dini 22, l’innovation Factory di Electrolux, a Porcia (PN) 3 Atelier di Fantoni, sistema con arredi e vari accessori combinabil­i 4 A Hong Kong, il Finest Design Next Coworking arredato con i divani Zinta, le sedute Colina e Leaf e i pouf Pix di Arper
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