«Ubi più solida, sale l’utile L’ops? Regole asimmetriche»
Il ceo Massiah: sui 25 mila euro abbiamo il 40% del mercato
MILANO Victor Massiah, ceo di Ubi Banca, è «fiero» e «soddisfatto» del primo trimestre 2020, nonostante la pandemia e l’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa Sanpaolo sulla totalità delle azioni del suo gruppo.
Massiah, presentate conti superiori alle attese.
«Ubi ha raddoppiato il risultato del trimestre precedente con una crescita del 12 per cento sul 2019, in un contesto che ha visto un blocco totale a marzo nelle zone più importanti per noi. Sono elementi di grande soddisfazione. Al di là dei numeri, sono fiero della reazione che ha avuto la banca nel rapporto con i clienti. Il nostro è un bilancio bio, del tutto sostenibile, senza alcuna forzatura, né fertilizzanti chimici».
La dimensione è un elemento di forza durante le crisi. Voi siete solo medi.
«Se guardiamo indietro, vediamo che non si trova correlazione tra dimensione e risultati. Abbiamo visto banche grandi in difficoltà e piccole con il vento in poppa, perché esiste invece un forte correlazione tra i risultati e la qualità del credito. L’esempio eccellente è il Credem, che ha un cost/income normale, ma ha un costo del credito così basso che può permettersi qualunque cosa».
I crediti pesano così tanto?
«Lo spiego: Ubi ha 3,6 miliardi di ricavi all’anno. Il 10% del rapporto cost/income vale 360 milioni di costi. Ma abbiamo anche 80 miliardi di impieghi. Migliorare l’npe ratio, che è l’incidenza dei crediti non performanti sul totale dei crediti, di solo l’1 per cento vale, per noi, 800 milioni di euro. Ecco la differenza».
Come si sopravvive agli effetti di questa crisi?
«Qualità del credito prima di tutto; capacità di utilizzare le tecnologie e, solo dopo, contano le dimensioni».
L’italia è bloccata e asfissiata dalla burocrazia.
«In verità quando si è trattato di aiutare il Paese e di farlo velocemente, Ubi è stata pronta. Fatto 100 il totale dei finanziamenti di liquidità, parlo dei famosi 25 mila euro, Ubi che in Italia vale tra il 5 e il 6 per cento del mercato ha, nello specifico, il 40 per cento di tutto l’erogato. Quanto alle moratorie, sono circa 1,6 milioni e di queste Ubi ha oltre 130 mila posizioni, quindi oltre il 10 per cento del mercato, un valore significativo rispetto alla nostra size. Questo per dire che Ubi ha saputo muoversi meglio di altri».
Qual è il segreto?
«Abbiamo individuato una soluzione informatica, attraverso la partecipata Sf, che ci permette di essere più veloci di altri e ci siamo organizzati su più turni giornalieri».
Su tutto questo però incombe l’ops che Intesa ha lanciato su di voi.
«Ci sono delle regole del gioco per cui, nella prima parte di un’offerta pubblica di scambio, può parlare continuamente chi offre e non può parlare chi è oggetto dell’offerta, secondo una regola che si chiama passivity rule. Questa regola implica per noi, tra le altre cose, il dover attendere l’offerta reale, che arriverà dopo un processo autorizzativo, prima di rispondere. Secondo i piani pubblicati da Intesa,
l’offerta arriverà a giugno. L’asimmetria è evidente. Questo, in una società mediatica, implica una differente possibilità di comunicare».
Ma le linee guida dell’ops di Intesa sono note.
«Non tutte. Ad oggi, ad esempio, non è chiaro cosa succederebbe se il risultato dell’offerta si posizionasse nell’eventuale corridoio tra il 50% più una azione e il 66,6%. Ovvero, in una condizione che consente il controllo dell’assemblea ordinaria, ma non della straordinaria».
d Siamo riusciti a raddoppiare il risultato del trimestre precedente
Le dimensioni? Conta molto di più la qualità del credito concesso
Una parte del vostro azionariato si è più volte dichiarata nettamente contraria all’ops, un’altra parte si è astenuta. Non lo trova strano?
«Oltre il 20 per cento del nostro azionariato si è già espresso. Una parte non si è espressa, ma storicamente ha sempre dato delega e fiducia ai cda che si sono succeduti negli anni, con un approccio molto liberale e di mercato. È importante qui sottolineare un ulteriore aspetto, la presenza nel cda di Ubi di imprenditori. La banca dispone di una delle più rigorose policy sui conflitti di interessi in Europa, verificata e approvata dalla Bce. Non ce ne sarebbe bisogno, data la qualità dei singoli imprenditori. Ma dal momento che teniamo molto a quella nostra idea di fare banca per bene, abbiamo ritenuto doveroso applicare quel regolamento».
Cos’è l’italia»? il «Manifesto per
«È il nostro impegno per rilanciare il Paese perché è quello che chiedono le nostre comunità. Il Covid-19 ci ha colto di sorpresa e per superarlo dobbiamo costruire un ponte e poi la nuova casa su un terreno solido e sostenibile. La posta in gioco è alta e ci coinvolge tutti. Noi come banca ci siamo e vogliamo fare la nostra parte».
L’italia sembra a un bivio. Come finirà?
«Mi ha fatto molto piacere leggere quanto ha detto il neo presidente di Confindustria Bonomi sul fatto che banche e imprese vanno tutelate, non attaccate. Le imprese sono le vere generatrici della ricchezza del Paese e le banche sono gli strumenti per fare arrivare energia sana a queste imprese. Il Paese deve imparare a difendere questi asset, che non vuol dire non criticarli, ma neppure demonizzarli come è stato fatto per decenni».