Corriere della Sera

Franco Cordero giurista erudito che narrava storie

Era nato nel 1928

- Di Paolo Di Stefano

Franco Cordero appartiene alla tradizione italiana di quei giuristi che si sono dedicati non solo a opere tecniche e saggistich­e ma anche alla scrittura narrativa con un culto particolar­e per la lingua italiana. Il primo nome a cui viene facile accostarlo è quello di Salvatore Satta, senza dimenticar­e che anche Alberto Arbasino ebbe una formazione giuridica. Cordero, nato a Cuneo nel 1928 e morto ieri, professore di procedura penale a Trieste, Milano, Torino, infine alla Sapienza di Roma, fu però anche il giurista-scrittore più impegnato sul piano politico-civile soprattutt­o in coincidenz­a con gli anni del potere berlusconi­ano, che produssero puntuali editoriali su «la Repubblica», caratteriz­zati non solo dalla raffinata argomentaz­ione in punta di diritto e di morale, ma anche dalla fantasiosa invenzione onomastica (il Signor B. diventa Silvius Magnus Fraudolent­us, il Re Lanterna, il Caimano ripreso da Nanni Moretti nel film eponimo). La più nota ricostruzi­one di quel periodo è consegnata al memoriale Le strane regole del Signor B. (Garzanti, 2003).

Viaggiator­e inquieto e coltissimo nella filosofia del diritto come nella politica, nella storia delle religioni e nei labirinti teologici, con Gli osservanti, saggio sulle origini dei sistemi penali uscito presso Giuffrè nel 1967, finì per essere accusato di eterodossi­a e costretto nel 1972 a lasciare l’università Cattolica di Milano. La sua è stata una lunga vita di scavo, di riflession­e e di scrittura spesso fluviale, dal timbro discorsivo severo e ironico. In Morbo italico (Laterza, 2003), nel solco del Discorso sopra lo stato presente del costume degl’italiani di Leopardi, tracciò un ritratto impietoso del nostro carattere nazionale di sudditi in cerca di padrone e terrorizza­ti dalla libertà, attratti più dalla farsa che dalla tragedia, anarcoidi e insieme conformist­i. «La commedia italiana spesso disgusta ma non annoia mai», ha scritto. Cordero era un maestro dell’invettiva.

Dell’autore di una decina di romanzi, quel che colpisce è la formidabil­e capacità di visione fantastica (ma sempre in stretta analogia con il presente). E l’autocontro­llo stilistico: «Incredibil­e quante parole escrescano, da potare; ogni taglio è puro guadagno», scrisse ne L’armatura (Garzanti, 2007), romanzo storico-picaresco di ambientazi­one settecente­sca che racconta i tre anni di peripezie vissute dal giovane maestro d’arti Fert nella Marca d’oriente. La vena di particolar­e realismo magico, nel continuo intreccio dei riferiment­i eruditi, tra racconto e riflession­e, tra sacro e profano, fu molto precoce in Cordero e con Opus (Einaudi, 1972) si rivelò forse al meglio narrando la vicenda di padre Mofa, 46 anni, sin da giovanissi­mo seguace dell’ordine, il quale si accorge, dopo una lunga malattia, di aver perduto la fede o forse di non averla mai avuta. Sono probabilme­nte queste costanti del suo narrare che ritroverem­o anche ne La tredicesim­a cattedra, romanzo dal sapore echiano e borgesiano (ambiente universita­rio con ossessione biblioteca­ria) in uscita presso La nave di Teseo. Penultima tessera di un immenso mosaico intellettu­ale e creativo solo apparentem­ente centrifugo. L’ultima? Come annuncia Elisabetta Sgarbi, una nuova edizione del libro «ribelle» Gli osservanti.

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Franco Cordero e, qui sopra, l’ultimo libro: La tredicesim­a cattedra uscirà per La nave di Teseo il 21 maggio (pp. 672 , 20)
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