Silvia in Italia rivendica la conversione
Dall’aereo a Roma Silvia Romano scende coperta dalla veste somala che aveva al rilascio. L’abbraccio con i suoi, un sorriso: «Mi hanno trattata bene». Poi le domande degli inquirenti
Silvia Romano, la volontaria sequestrata per 18 mesi in Africa, è tornata in Italia. Un lungo abito verde, il capo coperto. «Sono stata trattata bene. La conversione all’islam? Scelta spontanea».
Sorride. Saluta. Abbraccia. Alle quattordici e dieci Silvia Romano attraversa il breve tratto che separa l’aereo dall’ingresso dell’aeroporto di Ciampino dove la aspettano mamma Francesca, papà Enzo («è come scoppiare di gioia») e — virtualmente — tutti quelli che hanno seguito la vicenda del suo rapimento, iniziata in Kenya e conclusa in Somalia diciotto mesi dopo. È a casa. Finalmente.
Un lungo abito verde brillante le copre il capo e scende giù fino ai polpacci mentre sotto s’intravede un tessuto batik dai disegni tipicamente africani. Silvia Romano fa scendere la mascherina sul mento perché la vedano meglio ringraziare e salutare tutti quelli che l’hanno riportata a casa, poi corre dai suoi.
Papà Enzo s’inchina per accogliere la sua ragazza come si conviene a una principessa e magari, chissà, vuol essere anche un tributo al dolore sopportato in questo lungo periodo. «Sto bene, fisicamente e psicologicamente» assicura lei e intanto si stringe in quell’abito ampio mentre ogni suo gesto è spiato, analizzato, commentato. Rimbalza sui siti e si ammanta di illazioni sui social.
«È vero — dirà Silvia Romano nel corso della giornata — mi sono convertita all’islam ma è stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori che mi hanno sempre trattato bene». E quest’ultima precisazione è un po’ un déjà vu.
Così dissero Simona Torretta e Simona Pari le volontarie della Ong «Un ponte per...» rapite in Iraq nel 2004, dopo il rilascio. Così disse Daniele Mastrogiacomo, il giornalista rapito in Afghanistan, nel 2007, una volta liberato. E così, ora, anche la venticinquenne che però vuol smentire una conversione per amore o per costrizione: «Falso che sia stata costretta a sposarmi — dice — Non ho avuto costrizioni fisiche né violenze».
Ad attenderla, in aeroporto, oltre al premier Giuseppe Conte c’è anche il ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio. Si parla di tensione tra i due perché la Farnesina sarebbe stata informata solo a cose fatte, ma Di Maio fuga i dubbi: «Ho sempre seguito la vicenda, avevo parlato con il padre di Silvia a dicembre promettendogli che l’avrei riportata a casa e così è stato — dice Di Maio, soddisfatto — In questi casi è un orgoglio massimo servire il Paese perché lo Stato si mostra in tutta la sua forza e in tutta la sua capacità, giocando da squadra per riportare a casa una nostra connazionale».
L’abbraccio più lungo, il più forte, è con la mamma che, più tardi, confiderà alle agenzie stampa di sentirsi frastornata dall’evento. Quindi, un sorriso alla volta, Silvia Romano si affretta a salire sull’auto metallizzata che, di lì a poco, la porterà nella caserma dei carabinieri del Ros. Non una parola sulla quarantena che anche lei, venuta da un altro Paese,
La ragazza ripete: «Nessuna violenza». Il ministro Di Maio: «Avevo promesso al padre che l’avrei riportata a casa» Tensioni con Palazzo Chigi per il mancato coordinamento
dovrà affrontare secondo il protocollo epidemiologico.
Intanto si apre un altro capitolo. Quello dell’interrogatorio con gli investigatori e con il pubblico ministero Sergio Colaiocco che la aspetta per mettere a fuoco il suo racconto sui diciotto mesi di prigionia: sono le quindici e un quarto quando la Romano entra in caserma davanti ai giornalisti. L’aspettano quasi cinque ore di interrogatorio con gli inquirenti ai quali dirà che, durante i diciotto mesi di prigionia, ha imparato a parlare un po’ di arabo. Adattamento o scelta?
È il nodo da sciogliere in questa vicenda, così come lo è il particolare della conversione. Fino a che punto Silvia Romano
è stata davvero libera di scegliere? Fino a che punto può considerarsi svincolata dalla pressione esterna una ragazza (di venticinque anni) tenuta prigioniera da un gruppo criminale?
Sono gli interrogativi che ora si pongono gli investigatori ed è ragionevole pensare che una parte delle domande rivolte alla ragazza siano servite a far luce su questo aspetto. Si tratta di un passaggio importante che nei prossimi giorni aiuterà a pesare l’intera vicenda. Non oggi però. Non ora. Non il giorno della libertà ritrovata.
Esulta ancora Di Maio: «Mi si permetta di ringraziare la nostra intelligence esterna e in particolare il generale Carta che fra poco andrà a ricorrere un ruolo importantissimo alla presidenza di Leonardo — dice —. Il mio ringraziamento va inoltre a tutte le donne e gli uomini che hanno condotto l’operazione e soprattutto alla Farnesina, a chi ha lavorato nell’ombra e nel silenzio come l’unità di crisi del ministero degli Affari esteri che è sempre rimasta in contatto con la famiglia e che si è adoperata da subito, fin dalle prime ore della scomparsa di Silvia e che merita di essere onorata per l’impegno e le qualità dimostrate».